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i divoratori 311

è rovinato! Tutto, tutto ciò che era bello... è stato tolto... da ogni cosa... Sì, ero povera, sì, ero infelice, e inventavo quelle bugie nelle mie lettere. Ma credevo che voi... che voi mi amaste, come Jaufré Rudel. E mai, mai, mai non ero stata tanto felice come allora, amandovi così traverso la lontananza... quando eravate lo Sconosciuto... Ma adesso... tutto è spezzato, tutto è rovinato... E voi avete sempre creduto che avevo bisogno di denari... cioè, sapevate che avevo bisogno di denari... e poi... e poi avevate quella orribile fotografia... e credevate... — qui Nancy fu scossa da singhiozzi deboli e disperati, — e credevate ch’io fossi così!

— Sicuro, — disse Jaufré Rudel. — Credevo che foste proprio così.

E la lasciò piangere per un gran pezzo.

Quarto era già scivolata indietro nelle lontananze; sull’acqua lucida, Genova, grandiosa e rischiarata dal sole, moveva pianamente al loro incontro.

Finalmente Nancy alzò il viso.

— Non posso andare avanti a piangere eternamente, — disse con un tremulo sorriso. — Il capitano ci guarda, e pensa che voi siete un orribile e feroce orco, un selvaggio inglese che mi maltratta.

Erano quasi in porto.

— Su! prendi la tua valigetta, — disse lui, — e prontati. E taci.

Ella rise, arrossendo, e obbedì prestamente. I pochi viaggiatori erano in piedi aspettando di sbarcare. Nancy colla valigetta in una mano, e il pacco di ombrelli e di bastoni nell’altra, si mise in piedi dietro a lui, mansueta e piccola.

E guardò le larghe spalle, che le stavano davanti come un baluardo. Ah! come si sentiva protetta e tranquilla! È pur dolce avere qualcuno che vi sgrida e ha cura di voi,