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110 | annie vivanti |
il lazzarone sapeva che l’angoscia è generosa quanto la felicità.
Nino, acciecato dallo spavento, si precipitò su per la larga scalinata. Già fermi sul pianerottolo dell’appartamento di Nunziata, gli uomini coi fiori aspettavano.
Teresa aveva aperto la porta e subito scorse dietro le rose, il viso bianco, folle di terrore, di Nino.
— Santa Vergine! Il signorino!
In una istantanea visione le balenò il pensiero dell’illustrissima che discinta, non incipriata, non pettinata, leggeva Matilde Serao con le treccie giacenti sulla tavola di toeletta. La faccia atterrita della serva confermò i terrori di Nino. Livido e barcollante entrò, e abbandonandosi su una seggiola nell’anticamera si coprì il viso colle mani. L’illustrissima, che aveva udito lo strepito, s’affacciò alla porta del salotto: vide, comprese, e richiuse pianamente l’uscio.
Quando, pochi istanti dopo, Nino, precipitoso e convulso, entrò — la stanza era oscura, le imposte chiuse. Nunziata giaceva supina colle guancie pallide, un morbido velo cerulo le cingeva in vaghi drappeggiamenti il capo; ma sotto ai suoi occhi non v’erano grandi ombre azzurre, perchè non c’era stato il tempo di farle...
E tutto ricominciò da capo. Perchè se Nunziata era placida e calma quando Nino era lontano, appena egli era presente essa sentiva che la sua vita tutta dipendeva da quell’amore, e che l’abbandono sarebbe stato per lei la morte.
Stretto e sempre più stretto nelle bianche dita ingemmate, serrava l’uccelletto morto, narrando piano al suo stanco cuore che l’alata giovinezza era viva ancora...
Nino fu delicato per lei e pieno di riguardi. Scrisse anche varie lettere ai consolati italiani di Rio e di Buenos Aires pregandoli di accertarsi della verità riguardo al