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i divoratori 107


Nino non doveva trovarla seduta lì ad aspettarlo, come se non ci fosse al mondo che lui.

— Va via, Teresa, va via. Devo pensare.

Teresa se ne andò brontolando.

Nunziata Villari per lo più vedeva la vita e trattava le situazioni secondo i metodi di Sardou, Dumas o D’Annunzio. Nino, tornando, doveva trovarla supina in una stanza oscura, colle guancie pallide e con grandi ombre azzurre sotto gli occhi. Oppure, ancora meglio, ella all’arrivo di lui — non c’è! E mentre egli si dispera, ecco, ella entra, tornando da qualche folle banchetto, ingemmata e ridente! Ah! essa lo vede, vacilla! Si passa la mano ingemmata sugli occhi, un singulto la scuote. «Nino!»... ed egli le cade ai piedi... Poi subito egli le fa una scena di gelosia. Dov’è stata? Con chi? Dov’era quando arrivò il telegramma? Perchè non era in casa a riceverlo? Chi le manda tutti questi fiori?... Bah! E con un gesto d’infinito sdegno Nino li afferra a fasci e li getta dalla finestra...

A dir vero dei fiori in casa non ve n’erano. La Villari richiamò dunque Teresa e le disse di andare dal fioraio e di ordinare per cento lire di gardenie e di rose bianche, tutte bianche, e che le portassero il più presto possibile.

— Sì, signora, — disse Teresa andandosene.

— E non scordare il parrucchiere per le sei.

— Sì, signora.

— E una carrozza per le sette.

— Sì, signora.

— E, Teresa!...

Teresa si fermò con la faccia vacua e rassegnata.

— Ricordati, Teresa, che sei stata tu ad aprire il telegramma. Io non c’ero. Ero fuori. Sono sempre fuori. Con tanta gente... capisci?

— Sì, signora.