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il castello sforzesco di milano

trasto della loro mancanza assoluta di qualsiasi elementare disposizione di comodità e decenza, col lusso spiegato nell’adornamento delle sale: e invero, quando si ricordi come Galeazzo Maria volesse, non solo ricoperta in velluto rosso la vòlta di una sala, ma ordinasse che i locali destinati a custodire i girafalchi fossero addobbati di velluto verde “ricamato con l’arme nostre de le secchie et piumaglio„ non si può a meno di trovare strano che le finestre delle sale fossero chiuse con impannate vecchie e sdrucite, di cui si decideva il ricambio solo in occasione della visita di qualche ambasciatore: calice in vetro colle imprese sforzesche. e che pei gabinetti, oggi chiamati di decenza, non si provasse neppure la necessità di intonacare le pareti e di chiudere la rozza feritoia, da cui ricevevano un poco di aria e di luce.

L’estrema semplicità nella vita famigliare ducale risulta più stridente dalle disposizioni che si dovevano adottare nella circostanza di qualche visita di riguardo, o di qualche festa in Castello; così, per l’occasione delle nozze con Bona di Savoia, Galeazzo Maria doveva fare la requisizione di arazzi presso le famiglie patrizie, allo scopo di decorare le pareti del Castello: per le cerimonie che in questo si compivano, si ricorreva al capocelo, o baldacchino di broccato d’oro, custodito di solito nella vecchia corte ducale, di fianco al Duomo: fu solo nel 1474 che venne proposto di ordinare un altro baldacchino, per evitare il continuo trasporto, da una residenza all’altra, dell’unico e vecchio capocelo allora esistente, a proposito del quale si faceva osservare che “se lo si volesse rimovere, andaria in fasso„ ossia si sfascierebbe.

Una indicazione ancora più caratteristica, è data da una deliberazione dello stesso anno, secondo la quale in una camera dell’appartamento ducale si doveva porre “una lectera con la sua carriola: et li materazi che se ghe mettessero la nocte per dormire, la matina se potriano levare via, et a questo modo dicta camera se troverà libera per potergli fare consiglio dentro„.

Alcune note d’inventario di quel tempo danno qualche idea riguardo l’ammobigliamento delle sale, menzionando “scaldaletti, cossini de velluto cremexino per ponere a la catregha de camera: panni de scarlato da mettere sopra le catreghe e per coprire la tavola: una coperta de coiro (cuoio) per coprire la brella (predella) dove sta il Signore (Duca) in genogione a la messa: una tasca de coiro negro per ponere dentro chiodi er altri ferramenti: una cassetta de braza 13 con certi cassettini depinta de verde, per guarnare (riporre) li capelliti del Signore„.

Per ospitare mons. Filippo e mons. de Cominges in Castello, il Duca scriveva al Gadio: “volemo che faci fornire le camere de sopra de letere et tavoli, et metiate in ordine qualche cucina„; e per la venuta del figlio del Re Ferrando d’Aragona, nel 1474, il Duca ordinava che nella sala nova si disponesse “un tribunale et credenza et banchi: ciò de grosso, perchè andarono coperti de tapezarie„. L’ambasciatore di questo re, qualche anno prima, aveva potuto vedere anche gli abiti del Duca, dei quali si era “tanto meravigliato, dicendo non aver mai visto


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