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villa archinto, ora di proprietà pennati a monza

accade negli altri, l'aspetto d'un prato, ma sibbene d'un tappeto di velluto verde; tanto n'è eguale l'erba e tersa la cotica, sia nel piano come nel clivo, poichè il terreno va trasmutando la superficie con sempre volubili vezzi.

Le vie morbide e nel tempo stesso non punto sdrucciolevoli, vi furono tracciate, non altra legge seguendo fuori di quella per la quale dolcemente serpeggiando guidassero ai luoghi più geniali e di maggior diletto. Nelle medesime invitano anzi, irresistibilmente allettano a riposarsi di quando in quando, per l'amenità dei siti all'uopo trascelti, alcune seggiole di varie ed elette forme sparse intorno alle tavole di levigatissimi graniti.

il torrione antico. Lungo quella tra le vie che prende il più disteso giro, s'incontrano pur anche diverse ripartite scene, come d'una grotta, della fronte d'un tempio, degli avanzi d'un forte in parte solo restaurato, d'una scogliera con piacevoli capricci di fratte e macchie, il vertice a guisa di collina coronato di pini, ed il piede lambito dall'onde del fiume.

Scendendo da questa collinetta per insensibile pendio sulla sponda del Lambro, si ha campo di spaziare collo sguardo, da un lato sul giardino nella parte che si estende avanti il palazzo, il quale dall'alto ivi si presenta in tutta la signorile sua dignità, e dall'altro fuori per l'aperta campagna, ove il convento delle Grazie, un ponte sullo stesso fiume ed alcuni mulini, per tacere d'altri casolari e ville, offrono diversi aspetti di un singolare e giocondo effetto pittorico. Il cammino si stacca indi dal margine del Lambro, e perdendone la vista e il fragore, guida all'aranciera in aspetto d'un vasto edificio gotico, capace a contenete nell'inverno i giganteschi vasi di limoni che nell'estate, in simmetriche schiere, gli formano innanzi un odorosissimo boschetto. Poco oltre, quasi d'improvviso, si giunge in riva ad un piccol lago ch'è in balia dei cigni.

La sponda, dove apre poi il maggior seno, si alza a poco a poco e forma un poggio sopra il quale, tra i fiori più cari a Venere, ti si offre un ridentissimo tempietto corinzio, in cui la Dea con un amorino deliziosamente si trastulla. L'effigiò con vero giubilo dell'arte il Fabris, allievo di quel sommo Canova, che rinnovò a' tempi passati i miracoli, che per tanti secoli furono il vanto della sola Grecia.

Nel togliersi da questo luogo d'incanto e di tripudio, si varca sopra breve ponticello l'acqua che scorre strepitando nel lago; indi la via, seguendo l'andamento d'un placido ruscelletto, riconduce al palazzo: nel qual sentiero, poichè tutto è


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