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e quello del verso (qual dee essere lo stile istorico, secondo l'avviso di Cicerone nella brieve e succosa idea che dà di scriver la storia, che deve ella adoperare «verba ferme poetarum», forse per mantenersi gli storici nell'antichissima loro possessione, la quale si è pienamente nella Scienza nuova dimostrata, che i primi storici delle nazioni furono i poeti); e la vi comprende tutta nelle sue cagioni, consigli, occasioni, fatti e conseguenze, e per tutte queste parti la pone ad esatto confronto della guerra cartaginese seconda, ch'è stata la più grande fatta mai nella memoria de' secoli, e la dimostra essere stata maggiore. Della qual digressione il principe signor don Giuseppe Caracciolo de' marchesi di Sant'Eramo, cavaliero di gravi costumi e saviezza e di buon gusto di lettere, con molta grazia diceva voler esso chiuderla in un gran volume di carta bianca, intitolato al di fuori: Istoria della guerra fatta per la monarchia di Spagna.

L'altra orazione fu scritta nella morte di donna Angiola Cimini marchesana della Petrella, la qual valorosa e saggia donna, nelle conversazioni che 'n quella casa sono onestissime e 'n buona parte di dotti uomini, così negli atti come ne' ragionamenti insensibilmente spirava ed ispirava gravissime virtù morali e civili; onde coloro che vi conversavano erano, senz'avvedersene, portati naturalmente a riverirla con amore ed amarla con riverenza. Laonde, per trattare con verità e degnità insieme tal privato argomento: «ch'ella con la sua vita insegnò il soave-austero della virtù», il Vico vi volle fare sperienza quanto la dilicatezza de' sensi greci potesse comportare in grande dell'espressioni romane, e dell'una e dell'altro fusse capace l'italiana favella. Va in una raccolta in quarto foglio ingegnosamente magnifica, dove le prime lettere di ciascun autore sono figurate in rame, con emblemi ritruovati dal Vico ch'alludono al subietto. Vi scrisse l'introduzione il padre don Roberto Sostegni, canonico lateranense fiorentino, uomo che e per le migliori lettere e per gli amabilissimi costumi fu la delizia di questa città; nel quale peccando di troppo l'umor della collera (che fecegli spesso mortali infermità, e finalmente d'un ascesso