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gemono smorti, ed a la tomba l’ali il viver nostro ha piú preste e spedite,

30e son sempre feconde le sventure di si fatte sciagure

non piú per nova o antica fama udite, e dal pensier uman tanto lontane che crederle men sa chi piú le prova:

35talché sembra lo ciel che non piú accenda benigno lume, onde qua giú discenda un’alma lieta. Or chi cotanto strane guise di mali intende mai per prova, se potesse mirar qual è lo scempio 40che di me fa mio destin fòro ed empio,

al suo, ch’or chiama avaro ed or crudele, grazie sol renderia, non che querele.

Di qualunque animai, quando primiero a l’irne soglie del suo viver giunge,

45lo ’nfocato vigor onde ha la vita,

con dolci nodi amici e’ si congiunge a la sua salma; e un caso adverso e fòro, o pur sia stella avara in darmi aita, o natura dal suo corso smarrita,

50di duo adversari me, lasso! compose:

il mio mortale infermo, afflitto e stanco, ch’ornai par venir manco, strazia l’alma con pene aspre, noiose; e ’l mio miglior, che d’egre cure abonda,

55affligge ’l corpo con crudeli pesti;

e mentre, oimè! con pensier molto e spesso me ’nterno a sentir me contro me stesso, membro non ho ch’a l’anima risponda, poiché non ho vertú che i sensi désti,

60se non se ’n quanto mi si fan sentire gli acerbi effetti de’ lor sdegni ed ire.

In si misero stato e si doglioso va’, spera, se tu puoi, qualche riposo.