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beneficio della scienziata repubblica e consolazione sempre piú de* suoi buoni amici, servidori e discepoli, tra’ quali egli è uno che con tutta divozione gli bacia le mani.

Di San Domenico maggiore, a’ 17 giugno 1734.

LXVIII

DELLO STESSO

Sulle poesie del marchese di Salcito, sulla lettura della Scienza nuova e sopra un dubbio intorno alla natura della poesia.

All’ illustrissimo signor don Giambattista Vico fa ossequiose riverenze fra Tommaso Maria Alfani, e presentandogli i saluti del signor marchese di Salcito, il quale con ispecialitá in una lettera di quest’ordinario gliel’ impone, gli manda ancora da sua parte il qui acchiuso sonetto da lui fatto per volerlo fare stampare alLultimo delle poesie che ora del detto marchese si stampano, acciocché il signor don Giambattista ci faccia la sua approvazione, avendolo prima col fino suo giudizio esaminato. (Si compiaccia considerare nel sonetto quell’augurio, che non fosse troppo ardito e non ancora a tempo.)

Fra Tommaso poi ha giá letto per la terza volta la Nuova scienza ed in parola di veritá, Iddio n’è testimonio, gli dice che si vede uomo nuovo, dispiacendogli solamente che non ha l’antica forza e vigore e non è fornito di quell’ingegno, acciocché piú potessene approfittare.

Egli dá fuori le poesie del marchese e vi fa una lettera a’ lettori per vendicare la poesia cotanto da alcuni malmenata, ed in questa si serve delle espressioni del signor don Giambattista, sempre che gli sono in acconcio, e non poche volte.

Lo priega però chiarirlo come s’intende ciò che nella p. 369 della Nuova scienza sta scritto: che i poeti non siano metafisici, o secondo l’espressione che vi è: «esser impossibil cosa che alcuno sia poeta e metafisico egualmente sublime»; e