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que’ lumi che non altronde si traggono che col communicare con uomini tanto saggi qual siete voi.

Vi confesso il vero, signor Giambattista, che, dacché mi venner fra mani i vostri libri di si grande erudizione e dottrina ricolmi che appena rinvenir si possa chi v’abbia nella cognizione e nel lume, non che superato, adeguato soltanto, non mai gli mi ho fatti cader di mano, anzi con tanto e si gran piacere gli ho soventi fiate letti e riletti che maggiore ne’ latini e greci filosofanti non ho rinvenuto. La vostra virtú comprensiva, colla quale, aggirandovi entro la natura delle cose, ne penetrate la midolla, indi spiegandone co’ parlari piú vivi le proprietá, ella è per certo ammirabile. Onde io mi veggo costretto per dritto di giustizia ed a confessar a voi francamente ed a dichiarare in faccia a chichesia esser le vostre opere parti di una tal mente che per nascerne altra simile non una etá sola, come Tullio de’ buoni oratori favellando diceva, ma molte e molte vi abbisognassero. Gloria somma invero dell’etá nostra, e motivo di rallegramento a tutti i dotti, per vedere a tanto colmo arrivato l’umano sapere.

Io intanto, rallegrandomi anche con esso voi di esser dal grand’ Iddio di si bel dono fornito, vi prego a gradire questa schietta oblazione della mia servirtu ed amicizia; sperando anche, tosto che sarò libero dalla dura necessitá del malore che tuttavia mi si va scemando, venirvi di presenza a riverire in Napoli e raggiona re alla distesa sulle cose del vostro sistema. Vivo però con desiderio tale delle vostre cose tutte che, se possibil fosse, vorrei raccolte quante mai parole v’escon di bocca. Avrei sommamente caro, perciò, che, se pur presso di voi ve le trovate, m’inviassivo l’altre vostre opere, da quella De universi iuris principio e quella della Natura delle nazioni in fuori, non avendo potuto nelle librerie, quanto a me, rinvenirle. E con ciò, bramoso de’ vostri, piú che di ciascun altro, giocondissimi commandamenti, vi bacio la mano, ecc.

Castello di Cicciano, 8 novembre 1728.