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XLI

A GHERARDO DEGLI ANGIOLI Su Dante e sulla natura della vera poesia.

Ho ricevuto alquanti sonetti ed un capitolo, composti da Vostra Signoria in cotesta sua patria, e vi ho scorto un molto maggiore ingrandimento di stile sopra il primiero con cui Ella due mesi fa era partita da Napoli. Talché mi han dato forte motivo di osservarli con l’aspetto de’ principi della poesia da noi ultimamente scoverti col lume della Scienza nuova d’ intorno alla natura delle nazioni , perché le selve e i boschi, che non sogliono fare gentili gli animi né punto raffinare gl’ingegni (né certamente vedo altra cagione), han fatto cotesto vostro tanto sensibile quanto ripentino miglioramento.

Primieramente Ella è venuta a tempi troppo assottigliati da’ metodi analitici, troppo irrigiditi dalla severitá de’ criteri, e si di una filosofia che professa ammortire tutte le facoltá dell’animo che li provvengono dal corpo, e sopra tutte quella d’immaginare, che oggi si detesta come madre di tutti gli errori umani; ed, in una parola, Ella è venuta a’ tempi di una sapienza che assidera tutto il generoso della miglior poesia, la quale non sa spiegarsi che per trasporti, fa sua regola il giudizio de’ sensi ed imita e pigne al vivo le cose, i costumi, gli affetti con un fortemente immaginarli e quindi vivamente sentirli. Ma a’ ragionamenti filosofici di tali maniere Ella, come spesso ho avvertito, soltanto con la sua mente si affaccia come per vederle in piazza o in teatro, non per riceverle dentro a dileguarvi la fantasia, disperdervi la memoria e rintuzzarvi lo ingegno. Il quale, senza contrasto, è ’l padre di tutte le invenzioni, onde è quello che merita tutta la meraviglia de’ dotti, perché tutte ne’ tempi barbari nacquero le piú grandi e le piú utili invenzioni, come la bussola e la nave a sole vele, che entrambe han fruttato lo scuoprimento dell’ Indie e ’l dimostrato compimento della geografia; il lambicco, che ha cagionato colla