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23(quattro pomeridiane’), rinnovando allora il loro piato e costringendo, per tal modo, Gennaro, egli stesso professore universitario, a cedere e gli altri cattedratici a « scusarsi onestamente » e ad andar via. Restati cosi padroni del campo, trasportarono, borbottando in fretta poche preci, il cadavere nel cortile, ove, vedendo che il Merda, per rendere almeno lui un po’ d’onore al suo grande figliano, si disponeva ad accompagnare la bara con la cotta e la stola, vi si opposero con pretesti senza fondamento, e alle pacate osservazioni del parroco risposero con lo spegnere le candele, abbandonare la salma nel cortile e andarsene pronunciando ingiurie e minacce. Al Merola non restò se non inviare le proprie discolpe a Gennaro, il quale, fatto risalire sú il cadavere e tenuto un piccolo consiglio di familiari e amici, deliberò di far di meno della congregazione di Santa Sofia e invitare invece i canonici della cattedrale. Con l’intervento dei quali e di tutti i professori universitari (e anche con gli onori di «conte palatino», che spettavano ai professori universitari che avevano insegnato oltre venti anni), i funerali ebbero luogo con gran decoro la mattina del 24. Fu tale, anzi, il disgusto di Gennaro per quella mascalzonata, che nel suo testamento (1805) stabili che le sue esequie si facessero dai canonici del Duomo, vietando assolutatamente « l’associazione di qualunque confraternita o congregazione*. — Una breve necrologia del V. fu inviata, non si sa da chi, prima del giugno 1744, a Giovanni Lami, che la inserí nelle Novelle letterarie del 1745.

p. 88 — Sull’aspetto fisico e sul carattere del V. scrive il Solla: «Fu la sua statura delle mediocri, l’abito del corpo adusto, il naso aquilino, e gli occhi vivi e penetranti, dal cui fuoco avrebbe ognuno potuto facilmente comprendere qual fosse la forza e l’energia di sua vigorosa mente. Contribuí alla sublimitá e speditezza dell’ingegno il suo collerico temperamento. Amava i suoi con eccesso di tenerezza, contento piuttosto di una rispettosa amicizia che d’un servile timore... Non disgiunse mai da’ suoi studi quello della pietá, e, piú che colla voce, provò colla probitá de’ costumi che, * se non siasi pio, non si può daddovero esser saggio parole memorabili, colle quali egli chiuse la sua Scienza nuova. Era anzi si persuaso della veritá della nostra religione, che dir soleva a’ suoi piú confidenti dover l’eccellenza sola della moral cristiana servir ad ognuno per sincero argomento della sua divinitá, quando eziandio mancassero quelle incontrastabili ragioni,