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di morire (io gennaio 1744), scrisse o dettò questa medesima dedica. Probabilmente, specie dopo la morte del figlio Ignazio, nel V., fino allora «conversevole», si sviluppò una certa tendenza alla misantropia e alla taciturnitá: tendenza che, accentuata dalP incalzare dei tanti mali fisici, dai quali fu sempre oppresso, venne interpetrata dai suoi familiari (nessuno dei quali brillava per eccessiva intelligenza) per una sorta di ottundimento mentale e di senile follia. Comunque, chi lo assistè nei suoi ultimi momenti non fu, come afferma il Villarosa, il padre Palazzuolo, morto fin dal 22 ottobre 1735, bensí il suo «padre spirituale» e confessore abituale don Nicola Merda, parroco di Santa Sofia a Capuana, al quale il V. die’ anche con la maggiore serenitá le disposizioni pei propri funerali. Mori non il 20, ma nella notte tra il 22 e il 23 gennaio 1744, nella giá ricordata casuccia ai Gradini dei Santi Apostoli, n. 1, la quale ancora nel 1806 era occupata dal figlio Gennaro. Lasciò, insieme con un paio di centinaia di ducati di debiti e poche e vecchie masserizie, una collezione di circa cento quadri cinque, sei e settecenteschi, tra i quali il ritratto proprio, della moglie e del figlio Ignazio, dipinti probabilmente tutti tre (come sicuramente il primo) da Francesco Solimena: ritratti che, ereditati da Gennaro e poi dai suoi nipoti Santaniello, andarono, circa il 1819, distrutti dal fuoco. Fortunatamente, il Villarosa, a istanza dell’abate Godard, custode generale dell’Arcadia, aveva precedentemente fatta trarre copia di quello del V.; la quale copia, serbata tuttora in Arcadia, è riprodotta in fronte al presente volume.

pp. 86-7 — L’incidente occorso nei funerali del V. ebbe anche uno strascico giudiziario. Da una memoria scritta da un Niccolò Pierro in difesa del parroco Merda (2 marzo 1744) si ricava che il V. era ascritto alla confraternita di Santa Sofia; onde Gennaro, scelta come luogo di sepoltura la chiesa dei Gerolamini (ove, una trentina d’anni fa, si sono compiute infruttuose ricerche per identificare la salma del filosofo), mandò ad avvertire i confratelli per l’accompagnamento del cadavere. Ma costoro, la mattina del 23gennaio, cominciarono col contendere coi professori universitari, concorsi alle esequie (Giacomo Filippo Gatti, Francesco de Chellis, Francesco Serao e altri), pretendendo di portar essi i fiocchi della coltre; e, riconosciuta ingiusta la loro pretesa anche dal cappellano maggiore Galiani, e stabiliti i funerali per le ore 21 (due pomeridiane) dello stesso giorno, si fecero attendere fino alle