Pagina:Vico - Autobiografia, carteggio e poesie varie, 1929 - BEIC 1962407.djvu/111

Tito Livio, il quale fa professione di scrivere dopo la guerra cartaginese la storia romana con piú di veritá, attesta nientedimeno che egli non sapeva per quai luoghi dell’ Alpi Annibaie era entrato in Italia. Varrone aveva diviso il tempo della durata del mondo in tre parti, delle quali nomina egli la prima « incognita », la seconda « favolosa », la terza « istorica ». L’auttore suddivide la seconda in due, di cui la prima contiene ciò che la favola dice delle principali divinitá e si distende insino a’ tempi di Ercole che stabilisce i giuochi olimpici, e la seconda contiene ristoria delle divinitá minori ovvero de’ tempi eroici: quest’ultima comprende il viaggio degli Argonauti, la guerra di Troia, le navigazioni d’ Ulisse e quelle d’ Enea.

Egli non è facile a dirsi se questi fatti sieno veri, a cagione delle difficoltá che vi s’incontrano. Vi sono parecchi c’hanno intrapreso di notare di quanti anni Ercole sia stato piú antico di Teseo, e di quanti Teseo sia preceduto a Nestore; ma come egli è mai possibile il conciliare questa opinione con quella che fa Teseo contemporaneo di Anfitrione, marito d’Alcmena madre di Ercole? com’è stato possibile che Teseo abbia preso Ercole per suo modello e siasi studiato d’ imitarlo in modo che a cagion di ciò sia stato chiamato il « secondo Ercole »? E mille altre difficoltá simili vi ha nella storia favolosa.

La storia medesima del tempo istorico ella è nel suo cominciamento molto imperfetta, a cagion che le nazioni avevano poca cognizione l’une dell’altre. I greci spezialmente ignoravano affatto la piú antica storia che era quella de’ popoli abitatori di lá dall’ Eufrate, come ancor quella degli egizi. Per altro i greci si compiacevano troppo delle favole per fidarsi di loro in quel che dicono.

Nella ricerca dell’origine delle lingue vi ha altresi un’immensa oscurezza e niente è piú incerto che la maggior parte dell ’etimologie per mezzo delle quali si deducono l’une dall’altre, come l’auttore fa vedere qui ed altrove. Quindi sono nati gli errori de’ filologi toccanti la lingua de’ poeti, che han creduto esser stata invenzione de’ poeti medesimi, talché, secondo costoro, lo stile prosaico sia stato il primo. L’auttore sostiene il contrario e ne adduce molte ragioni nel capo dodicesimo.