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per questo istesso si può pruovare la veritá della religion cristiana, come si potrá vedere nel libro medesimo. La maniera con la quale egli pensa e ’l torno delle sue espressioni sono molto singolari per farne comprendere in poche parole ciò che egli intende a coloro che non vi si sono punto avvezzati; per gustarne fa mestieri legger l’opera senza interrompimento e meditarla con attenzione; ciò facendosi, si vedrá che egli dá a’ leggitori di che pensare e presenta loro idee singolari e degne di attenzione. Quanto io ho detto finora è in ristretto il contenuto del secondo capo e de’ tre seguenti.

Egli scorre in appresso i dogmi metafisici de’ filosofi pagani, e mostra quei che sono conformi alla teologia cristiana e quei che le sono contrari. Appruova in Platone la dottrina dell’eternitá dell’ idee spirituali, ma biasima ciò che ha insegnato sulla pressistenza dell’anime; quanto questo filosofo ha detto dell’ immortalitá dell ’anime e della provvidenza divina, egli è altresi vero. Dissappruova il destino o sia il fato degli stoici, se per questo s’abbia ad intendere una catena di cagioni e di effetti che rende il tutto necessario; ma lo appruova, ove s’intendano le veritá eterne che Iddio fa conoscere allo spirito umano. Condanna assolutamente i principi d’ Epicuro, che vuole null’altro esservi che corpi e ’l vuoto e che attribuisce a’ suoi atomi un concorso fortuito ed a’ sensi il giudicar d’ogni cosa. Osserva che i filosofi niente han saputo del sommo bene e che le loro virtú sono imperfettissime. Vi sono diversi luoghi della morale di Platone e degli stoici conforme a quella de’ cristiani. Per Epicuro, che attribuisce il tutto a corpi, egli se n’allontana troppo per appruovarlo; fa d’uopo altresi correggere l’idee d’Aristotile intorno al sommo bene.

Quindi passa all’eccellenza della dottrina civile ovvero della giurisprudenza de’ cristiani, che ben s’accorda co’ principi della loro religione; ma per la giurisprudenza il signor Vico intende propriamente qui, come sembra, il dritto naturale e non la scienza litigiosa delle leggi civili. Censura di passaggio Epicuro, che fa dipendere il dritto dall’opinione degli uomini, la quale, essendo mutabile ed incerta, rende, secondo lui, vario