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della geografia poetica 373


769Non sapevano i romani cosa fusse lusso: poi che l’osservarono ne’ tarantini, dissero «tarantino» per «profumato». Non sapevano cosa fussero stratagemmi militari: poi che l’osservarono ne’ cartaginesi, gli dissero «punicas artes». Non sapevano cosa fusse fasto: poi che l’osservarono ne’ capovani, dissero «supercilium campanicum» per dire «fastoso» o «superbo». Cosí Numa ed Anco furon «sabini», perché non sapevano dire «religioso», nel qual costume eran insigni i sabini. Cosí Servio Tullio fu «greco», perché non sapevano dir «astuto», la qual idea dovettero mutoli conservare finché poi conobbero i greci della cittá da essi vinta ch’or noi diciamo; e fu detto anco «servo», perché non sapevano dir «debole», ché rillasciò il dominio bonitario de’ campi a’ plebei con portar loro la prima legge agraria, come sopra si è dimostrato, onde forse funne fatto uccider da’ padri. Perché l’astuzia è propietá che siegue alla debolezza, i quali costumi erano sconosciuti alla romana apertezza e virtú. Ché, invero, è una gran vergogna che fanno alla romana origine, e di troppo offendono la sapienza di Romolo fondatore, [coloro che affermano] non aver avuto Roma dal suo corpo eroi da crearvi re, infino che dovette sopportare il regno d’uno vil schiavo. Onore che gli han fatto i critici occupati sugli scrittori, somigliante all’altro, che seguí appresso, che, dopo aver fondato un potente imperio nel Lazio e difesolo da tutta la toscana potenza, han fatto andar i romani come barbari eslegi per l’Italia, per la Magna Grecia e per la Grecia oltramare, cercando leggi da ordinare la loro libertá, per sostenere la riputazione alla favola della legge delle XII Tavole venuta in Roma da Atene.