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256 libro secondo - sezione quarta - capo secondo


di tutti i divini ed umani beni ch’aveva produtto a’ pii l’umana societá; — Romolo fonda Roma con l’asilo aperto nel luco; se non, piú tosto, come fondatore di cittá nuova, esso co’ suoi compagni la fonda sulla pianta degli asili, ond’erano surte l’antiche cittá del Lazio, che generalmente Livio in tal proposito diffinisce «vetus urbes condentium consilium» e perciò male gli attacca, come abbiam veduto sopra, quel detto: ch’esso e i suoi compagni erano figliuoli di quella terra. Ma, per ciò che ’l detto di Livio fa al nostro proposito, egli ci dimostra che gli asili furono l’origini delle cittá, delle quali è propietá eterna che gli uomini vi vivono sicuri da violenza. In cotal guisa dalla moltitudine degli empi vagabondi, dappertutto riparati e salvi nelle terre de’ forti pii, venne a Giove il grazioso titolo d‘«ospitale »: perocché sí fatti asili furono i primi «ospizi» del mondo, e sí fatti «ricevuti», come appresso vedremo, furono i primi «ospiti» ovvero «stranieri» delle prime cittá. E ne conservò la greca storia poetica, tralle molte fatighe d’Ercole, queste due: ch’egli andò per lo mondo spegnendo mostri, uomini nell’aspetto e bestie ne’ lor costumi, e che purgò le lordissime stalle d’Augia.

562Quivi le genti poetiche fantasticarono due altre maggiori divinitá, una di Marte, un’altra di Venere: quello, per un carattere degli eroi, che, prima e propiamente, combatterono «pro aris et focis». La qual sorta di combattere fu sempre eroica: combattere per la propia religione, a cui ricorre il gener umano ne’ disperati soccorsi della natura; onde le guerre di religione sono sanguinosissime, e gli uomini libertini, invecchiando, perché si sentono mancar i soccorsi della natura, divengon religiosi; onde noi sopra prendemmo la religione per primo principio di questa Scienza. Quivi Marte combattè in veri campi reali e dentro veri reali scudi, che, da «cluer», prima «clupei» e poi «clypeí» si dissero da’ romani; siccome a’ tempi barbari ritornati i pascoli e le selve chiuse sono dette «difese». E tali scudi si caricavano di vere armi, le quali dapprima, che non v’erano armi ancora di ferro, furon aste d’alberi bruciate in punta e poi ritondate ed aguzzate alla cote