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104 libro primo - sezione seconda


XCI

280Le gare, ch’esercitano gli ordini nelle cittá, d’uguagliarsi con giustizia sono lo piú potente mezzo d’ingrandir le repubbliche.

281Questo è altro principio dell’eroismo romano, assistito da tre pubbliche virtú: dalla magnanimitá della plebe di volere le ragioni civili comunicate ad essolei con le leggi de’ padri, e dalla fortezza de’ padri nel custodirle dentro il lor ordine, e dalla sapienza de’ giureconsulti nell’interpetrarle e condurne fil filo l’utilitá a’ nuovi casi che domandavano la ragione. Che sono le tre cagioni propie onde si distinse al mondo la giurisprudenza romana.

282Tutte queste degnitá, dalla ottantesimaquarta incominciando, espongono nel suo giusto aspetto la storia romana antica: le seguenti tre vi si adoprano in parte.

XCII

283I deboli vogliono le leggi; i potenti le ricusano; gli ambiziosi, per farsi séguito, le promuovono; i principi, per uguagliar i potenti co’ deboli, le proteggono.

284Questa degnitá, per la prima e seconda parte, è la fiaccola delle contese eroiche nelle repubbliche aristocratiche, nelle qual’i nobili vogliono appo l’ordine arcane tutte le leggi, perché dipendano dal lor arbitrio e le ministrino con la mano regia. Che sono le tre cagioni ch’arreca Pomponio giureconsulto, ove narra che la plebe romana desidera la legge delie XII Tavole, con quel motto che l’erano gravi «ius latens, incertum et manus regia». Ed è la cagione della ritrosia ch’avevano i padri di dargliele, dicendo «mores patrios servandos», «leges ferri non oportere», come riferisce Dionigi d’Alicarnasso, che fu meglio informato che Tito Livio delle cose romane (perché le scrisse istrutto delle notizie di Marco Terenzio Varrone, il qual fu acclamato «il dottissimo de’ romani»), e in questa cir-