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v. gli esemplari postillati e le «notae» 793


ineunte adolescentia», del padron di casa, restato sin dall’infanzia orfano di padre, lo aveva erudito via via nella grammatica, nell’umanitá e nella filosofia, non senza avvalersi poi della cooperazione dei piú reputati versificatori napoletani e di altre parti d’Italia per farsi raccoglitore e curatore di un’elegante miscellanea poetica, allorché quel suo discepolo prediletto passò a nozze, precisamente nel 1721, con Maria Vittoria Caracciolo dei marchesi di Sant’Eramo1. Che anzi, quasi ricordo delle sue ultime lezioni di filosofia, proprio in quella miscellanea il medesimo Vico aveva inserito, col titolo Giunone in danza, un lungo polimetro2, nel quale, anticipando in qualche guisa i Canones mythologici delle future Notae3, aveva esibito una nuova interpretazione dei miti relativi ai dodici dei maiorum gentium, ispirata, non piú al criterio vossiano, ossia naturalistico, a cui, pur con notevoli varianti, egli era restato ancora aderente nel De constantia, bensí a un criterio rigidamente storico e sociale, per cui quei miti diventavano nient’altro che storie ingenue e immaginose dei primi passi compiuti dall’uomo nel cammino della civiltá e, in pari tempo, delle fiere lotte sociali che, sin da allora, come sempre e dovunque, avevano accompagnato quel progresso civile. Né, d’altra parte, sembra che il discepolo fosse indegno dell’affetto e della stima di tanto maestro. A differenza di altri giovinetti di nobili famiglie affidati alle cure del Vico e che, sottrattisi appena alla ferula del pedagogo, preferivano a quella di Platone, Tacito, Bacone e Grozio la compagnia di automedonti e di etère, il Filomarino non doveva amare l’ozio, dal momento che documenti contemporanei lo mostrano partecipe, nella misura limitata allora possibile, alla vita politica cittadina e personaggio influente alla corte del viceré D’Harrach e poi del re Carlo di Borbone, che dal 1738 al 1740 gli affidò la piú importante delle ambasciate napo-

    terza, 1923), p. 1 sgg., che dá una compiuta storia del palazzo (sito in via Trinitá Maggiore, n. 12). Per qualche altra notiziola, F. Nicolini, L’arte napoletana del Rinascimento e la lettera di Pietro Summonte a Marcantonio Michiel (Napoli, Ricciardi, 1925).

  1. Su quella miscellanea vedere Autobiografia, ed. cit., p. 59, e cfr. F. Nicolini, Appendice al secondo supplemento della Bibliografia vichiana di B. Croce (Napoli, 1910), pp. 48-50.
  2. Vedilo in Poesie varie, ed. cit., pp. 318-45.
  3. Cfr. presente edizione, p. 739 sgg.