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(LXXVIII.)

Per cenno mio più nol tacer, che questo
Singolar pregio suo più fra le genti
65Ir taciuto non dee. Disse, e spirando
Divino odor da le dorate chiome
La Dea disparve. Or, Federigo, vedi
Donde in Te venne il novel pronto ardore,
Che l’arduo calle di perpetuo timo,
70Di spesso Mirto, e di Pierie rose
Sempre ridente, ove vagar solea
Il Savonese mio, sì dolcemente
Ti trasse a depredar, nova d’industri,
Puri, nettarei carmi ape Maestra.
75Non io, che vidi il sacro Bosco, e vidi
L’intonso Apollo, e le eloquenti Dive,
Ti fei Poeta, ma di pochi amica
La stetta Euterpe di sua man ti scorse
In Elicona, ove ti diè di Cigno
80Le audaci penne, e 1’animoso canto.
Ed oh se mai t’avea la natal piaggia,
Quando al Tuo Narbonese, in Ciel già fatto
Lucido Spirto su le tue paterne
Sponde spiegò solenne pompa il Tempio,
85Che da Rocco si noma, ove di Lui,


Poi-