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(XLIII.)

A sofferir non è povertà dura,
Ove virtù de’ suoi nettarei detti
A magnanimo cor presti conforto;
Ma Te non mi ritoglia, o vero avanzo
25De l’antica immortal Dircea Famiglia.
Tu, dove io falsi a mal securi passi,
Or mi ti mostra da le Aonie cime,
Ombrato il capo del Tebano alloro,
Non che succinto il piè d’aureo coturno,
30Che nuova, e miglior fama accrebbe a Dido.
Vincerò forse mai 1’immenso giogo,
Su cui splendi qual face in ardua Torre,
Se ver me il suon di tue celesti corde
Non move, e a l’egro piè ali non giunge;
35O per Te io possa fra i Cantori Argivi
Di Pindarica fronda ornar le chiome?


AL