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capitolo iii. 85

propria morte ella rimarrebbe sola, senza appoggio, e, si guardò intorno.

Molti giovani operai di Ginevra avevano già fatto la corte a Geranda, ma nessuno era entrato nell’impenetrabile ridotto in cui viveva la famiglia dell’orologiaio. Fu dunque naturalissimo che, durante questa luce del suo cervello, la scelta del vecchio si arrestasse sopra Aubert Thun. Una volta messo in quest’ordine d’idee, egli notò che i due giovani erano stati allevati nelle stesse opinioni e nelle stesse credenze, e le oscillazioni dei loro cuori gli parvero isocrone, come egli disse un giorno a Scolastica.

La vecchia domestica, assolutamente ammaliata da questa parola, sebbene non la comprendesse, giurò per la sua santa patrona che tutta la città saprebbe la cosa fra un quarto d’ora. Mastro Zaccaria durò gran stento a calmarla ed ottenne finalmente da lei che serbasse il silenzio su questa comunicazione promessa che essa non serbò mai.

Tanto è vero, che, senza saputa di Geranda e di Aubert, in tutta Ginevra si parlava già delle loro prossime nozze. Ma avvenne pure che in queste conversazioni si intendesse spesso un ghigno singolare ed una voce che diceva:

«Geranda non sposerà Aubert.»

Se i cianciatori si voltavano, si trovavano in faccia ad un vecchietto sconosciuto.

Che età aveva quell’essere bizzarro? Nissuno avrebbe potuto dirlo. Si indovinava che egli doveva esistere da un gran numero di secoli, null’altro. La sua grossa testa schiacciata posava sopra spalle la cui larghezza eguagliava l’altezza del corpo che non passava i tre piedi. Quel personaggio avrebbe fatto bella figura per un sostegno di pendolo, perchè avrebbe naturalmente portato il quadrante sulla faccia, ed il bilanciere avrebbe potuto dondolare comodamente nel suo petto. Il suo naso pareva proprio lo stile d’un quadrante solare, tanto era sottile ed aguzzo. I denti, allontanati l’uno dall’altro ed a superficie epicicloica, rassomigliavano agli ingranaggi di una ruota e stridevano fra le sue labbra; la voce aveva il suono


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