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82 mastro zaccaria.

quando il bere, il mangiare, il sonno, in una parola le funzioni del corpo non sono convenientemente regolate. Allo stesso modo che ne’ miei orologi, l’anima rende al corpo la forza perduta dalle sue oscillazioni. Ebbene, chi produce adunque quest’unione intima del corpo e dell’anima se non uno scappamento meraviglioso, per il quale le ruote dell’uno vengono ad ingranarsi nelle ruote dell’altro? Or ecco ciò che io ho indovinato, applicato, e per me non v’hanno più segreti in questa vita, che dopo tutto non è se non un’ingegnosa meccanica.

Mastro Zaccaria era sublime in questa allucinazione, che lo trasportava fino agli ultimi misteri dell’infinito. Ma la sua figliola Geranda, ferma sul limitare della porta, intese ogni cosa e si precipitò nelle braccia del babbo, il quale se la strinse convulsivamente al seno.

«Che hai tu, figlia mia? le domandò mastro Zaccaria.

— Se io non avessi altro che una molla qua dentro, disse la fanciulla mettendosi una mano sul cuore, non ti amerei tanto.

Mastro Zaccaria guardò fisso la figliuola e non rispose.

D’un tratto mandò un grido, si portò vivamente la mano al cuore e cadde svenuto sul vecchio seggiolone di cuoio.

— Babbo, che hai?

— Aiuto! gridò Aubert; Scolastica! Scolastica!

Ma Scolastica non accorse subito.

Si era picchiato all’uscio d’ingresso, ed ella era andata ad aprire; quando tornò all’officina, prima ancora che avesse aperto bocca, il vecchio orologiaio, tornato in sè, le disse:

— Indovino, mia vecchia Scolastica, che tu mi porti ancora uno di quei maledetti orologi che si è fermato.

— Gesù! È proprio vero, rispose Scolastica consegnando un orologio ad Aubert.

— Il mio cuore non può ingannarsi, disse il vecchio con un sospiro.

In questo mentre, Aubert aveva rimontato l’orologio con gran cura, ma esso più non camminava.