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76 mastro zaccaria.

è bene una parte della mia anima che io ho chiuso in ciascuna di queste scattole di ferro, d’argento o d’oro! Ogni volta che si ferma uno di questi maledetti orologi, sento il cuore che cessa di battere, perchè io li ho regolati sulle sue pulsazioni.

E parlando a questo bizzarro modo, il vecchio gettò gli occhi sul banco. Quivi si trovavano tutte le parti d’un orologio che aveva smontato con cura. Prese una specie di cilindro cavo, chiamato tamburo, nel quale si chiude la molla, e ne levò la spirale d’acciaio che, invece di distendersi secondo le leggi della elasticità, rimase arrotolata sovra sè stessa come una vipera addormentata.

Sembrava annodata a guisa di quei vecchi impotenti il cui sangue si è, a lungo andare, coagulato. Invano mastro Zaccaria cercò di svolgerla colle dita magre, il cui profilo si allungava a dismisura sulla muraglia, non vi potè riuscire, e poco dopo, con un terribile grido di collera, la buttò dallo spiraglio nei turbini del Rodano.

Geranda, coi piedi inchiodati a terra, se ne stava senza fiato e senza movimento. Voleva e non poteva accostarsi al padre. Provava allucinazioni vertiginose. D’un tratto ella intese nel l’ombra una voce che le mormorava all’orecchio:

«Geranda, mia cara Geranda, il dolore vi tiene ancora desta! Rientrate, ve ne prego, la notte è fredda.

— Aubert, mormorò la giovinetta a bassa voce; voi, voi!

— Non dovevo io inquietarmi di quel che vi inquieta? rispose Aubert.

Queste dolci parole fecero tornare il sangue al cuore della giovinetta, la quale si appoggiò al braccio dell’operaio e gli disse:

«Il babbo è molto ammalato, Aubert, voi solo potete guarirlo, poichè questa affezione dell’anima non cederebbe alle consolazioni della figlia. Egli ha lo spirito percosso da un accidente naturalissimo, e lavorando con lui, accomodando i suoi orologi, lo farete risanare. Aubert, non è già vero, aggiunse ella ancora tutta impressionata, che la sua vita si confonde con quella de’ suoi orologi?