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8 un capriccio del dottor ox.

rante il quale il consigliere ed il borgomastro non mossero nemmeno un dito, Niklausse domandò a van Tricasse se il suo predecessore — una ventina d’anni innanzi — non avesse avuto al par di lui il pensiero di sopprimere codesta carica di commissario civile, che ogni anno aggravava la città di Quiquendone della spesa di mille trecento settantacinque lire e centesimi.

«Sicuro, rispose il borgomastro, portando con maestosa lentezza la mano alla fronte limpida, sicuro; ma quel degno uomo è morto prima d’aver osato prendere una determinazione, nè a questo riguardo, nè rispetto ad alcun’altra innovazione amministrativa. Era un savio. Oh perchè non farò io come lui?

Il consigliere Niklausse sarebbe stato incapace d’immaginare un argomento che potesse contraddire l’opinione del borgomastro.

— L’uomo che muore senza essersi deciso a nulla in tutta la sua vita è andato vicino alla perfezione in questo mondo.

Ciò detto, il borgomastro premette col dito mignolo il bottone d’un campanello dal suono velato, che fece intendere meglio un sospiro che un suono. Quasi subito si udirono alcuni passi leggieri. Un topo non avrebbe fatto meno rumore trotterellando sopra una fitta mocchetta. La porta della camera si aprì girando sui cardini oleati, ed apparve una giovinetta bionda, dalle lunghe treccie. Era Suzel van Tricasse, l’unica figlia del borgomastro. Essa consegnò al padre, insieme colla pipa preparata a puntino, un piccolo bragiere di rame, non disse parola e se ne andò subito, senza far più rumore che non ne avesse fatto entrando.

L’onorevole borgomastro accese l’enorme fornello del suo stromento e sparve in brev’ora in un nugolo di fumo azzurrognolo, lasciando il consigliere Niklausse immerso nelle più profonde riflessioni.

La camera, nella quale cianciavano così quei due notevoli personaggi, incaricati dell’amministrazione di Quiquendone, era un salotto fregiato di sculture di legno scuro. Un alto camino, ampio focolare in cui avrebbe potuto ardere una quer-