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capitolo xiii. 55


— Voi m’insultate colle vostre parole, contrastando a tutti i miei voleri, gridò il borgomastro, i cui pugni tendevano a tramutarsi in strumenti di percussione.

— E anche voi mi insultate dubitando del mio patriottismo, gridò Niklausse tenendosi pronto.

— Vi dico, signore, che l’armata Quiquendonese piglierà le mosse prima di due giorni.

— Ed io vi ripeto, signore, che non passeranno quarantott’ore prima che noi moviamo contro l’inimico.

È facile osservare da questo frammento di conversazione, che i due interlocutori sostenevano esattamente la medesima idea. Entrambi volevano battaglia, ma, smaniosi di acciuffarsi, Niklausse non ascoltava van Tricasse, e van Tricasse non ascoltava Niklausse. Avessero anche avuto opinione contraria su questa grave questione, la contesa non sarebbe stata più violenta. I due antichi amici si guardavano con occhio feroce. Dal movimento accelerato del loro cuore, dalle loro faccie arrossate, dalle pupille contratte, dal tremito de’ loro muscoli, dalla loro voce che aveva del ruggito, si comprendeva che stavano per venire alle mani. Ma il suono d’un grosso orologio arrestò il furore degli avversari nell’ultimo momento.

«Finalmente, ecco l’ora, gridò il borgomastro.

— Qual’ora? domandò il consigliere.

— L’ora d’andare alla torre del campanone.

— È giusto, e vi piaccia o no, ci andrò, signore.

— Anch’io.

— Usciamo.

— Usciamo.

Queste ultime parole potrebbero far supporre che dovesse aver luogo uno scontro e che gli avversari si recassero sul terreno, ma così non era. Era stato convenuto che il borgomastro ed il consigliere — in realtà i due principali personaggi del paese — si recassero alla casa comunale, salissero sulla torre altissima che la domina, ed esaminassero la campagna circostante per prendere le migliori disposizioni strategiche che potessero assicurare le mosse del loro esercito.