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capitolo x. 45

domestici, cani o gatti, buoi o cavalli, asini o capre, subivano l’influenza epidemica come se il loro usato ambiente fosse stato mutato. Le piante medesime si emanciparono, se ci si permette questa parola.

In fatti nei giardini, negli orti, nei frutteti si manifestavano sintomi estremamente curiosi. Le piante arrampicanti si arrampicavano con maggior audacia. Le pianto a ceppo crescevano più vigorose. Gli arbusti divennero alberi. I grani, appena seminati, gettavano il germoglio, e nel medesimo spazio di tempo crescevano tanti pollici quante linee prima nelle condizioni più favorevoli. Gli asparagi giungevano all’altezza di due piedi; i carcioffi divenivano grossi come meloni; i meloni grossi come zucche, le zucche grosse come zucconi, i zucconi grossi come il campanone che misurava, in fede mia, nove piedi di diametro. I cavoli erano veri cespugli ed i funghi veri parapioggia.

I frutti non tardarono a seguire l’esempio dei legumi, e bisognò mettersi in due per mangiare una fragola ed in quattro per una pera. I grappoli d’uva eguagliavano quel grappolo fenomenale dipinto da Pussin nel suo Ritorno degli inviati alla terra promessa. Lo stesso si dica dei fiori; le grandi violette spandevano profumi penetranti. Le rose esagerate splendevano dei più vivi colori. I lilla formavano in pochi giorni impenetrabili boschetti; gerani, margherite, camelie, rododendri invadevano i viali soffocandosi l’un l’altro; la roncola non poteva bastare, ed i tulipani, codesti cari liliacei che formano la delizia dei Fiamminghi, quale commozione cagionarono agli amatori! Il degno van Bistrom per poco non cadde supino, vedendo nel suo giardino una semplice tulipa gesneriana enorme, mostruosa, gigantesca, il cui calice serviva di nido a tutta una famiglia di pettirossi.

Tutta la città accorse per vedere quel fiore fenomenale, e gli diede il nome di tulipa quiquendonia.

Ma, ahi! se queste piante, se questi frutti, se questi fiori crescevano a vista d’occhio, se tutti i vegetali pigliavano proporzioni colossali, se la vivacità dei loro colori e del loro profumo inebbriava la vista e l’odorato, in compenso appassi-