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capitolo v. 29


— No; avevo creduto di sentire un piccolo movimento; mi sono ingannato.

— Morderanno, Franz, rispondeva Suzel colla sua voce pura e dolce, ma non dimenticate di dar la strappata a tempo; voi siete sempre in ritardo di qualche secondo, ed il barbio ne approfitta per fuggirsene.

— Volete prendere la mia lenza, Suzel?

— Volontieri, Franz.

— Allora datemi il vostro canevaccio. Vedremo se sarò più abile a maneggiare l’ago che l’amo.

E la giovinetta prendeva la lenza con mano tremante ed il giovane faceva scorrere l’ago attraverso i fori del canevaccio. Per ore intere ricambiavansi dolci parole, ed i loro cuori palpitavano quando il turacciolo si agitava sull’acqua. Ah! possano essi non dimenticare mai quelle ore deliziose, durante le quali, seduti l’uno accanto all’altro, ascoltavano il mormorio del rivo.

In quel giorno il sole era già molto basso sull’orizzonte, e non ostante i talenti combinati di Suzel e di Franz, i barbii non avevano abboccato, non si erano mostrati pietosi e ridevano dei giovani fidanzati i quali erano giusti e non se ne avevano a male.

«Saremo più fortunati un’altra volta, Franz, disse Suzel quando il giovane pescatore piantò l’amo sempre vergine sulla tavoletta d’abete.

— Speriamo, Suzel, rispose Franz.

Poi entrambi, camminando l’uno appressa all’altra, si diressero verso casa, senza dir parola, muti come le loro ombre che si allungavano innanzi ad essi. Suzel si vedeva lunga lunga sotto gli obliqui raggi del sole al tramonto. Franz pareva magro magro come la lenza che teneva in mano.

Si giunse alla casa del borgomastro. Fitti ciuffi d’erba incorniciavano i ciottoli lucenti e nessuno pensava, a strapparli perchè essi imbottivano la strada ed attutivano il rumore dei passi.

Al momento in cui la porta stava per aprirsi, Franz credette over dire alla propria fidanzata: