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22 un capriccio del dottor ox.

Ox, situata fuor della città presso alla porta di Audenarde, precisamente quella la cui torre minacciava rovina.

Il borgomastro ed il consigliere non si davano il braccio, ma camminavano passibus aequis, d’un passo lento e solenne che non li spingeva innanzi più di tredici pollici al secondo.

Era del resto l’andatura ordinaria dei loro amministrati, i quali a memoria d’uomo non avevano mai visto nissuno correre attraverso le vie di Quiquendone. Di tanto in tanto in un crocivio pacato e tranquillo, allo svolto d’una placida via, i due notabili si arrestavano per salutare i passanti.

«Buon giorno, signor borgomastro, diceva l’uno.

— Buon giorno, amico, rispondeva van Tricasse.

— Nulla di nuovo, signor consigliere? domandava l’altro.

— Nulla di nuovo, rispondeva Niklausse.

Ma a certe sembianze meravigliate, a certi sguardi interrogatori, si poteva indovinare che l’alterco della vigilia era conosciuto in città. Soltanto dalla direzione seguita da van Tricasse, i più ottusi dei Quiquendonesi avrebbero capito che il borgomastro stava per compiere qualche gran cosa. La faccenda Custos e Zitto occupava tutte le immaginazioni, ma non si era ancor giunti a parteggiare per l’uno o per l’altro. L’avvocato ed il medico erano del resto due persone stimate. Il primo, non avendo mai avuto occasioni di trattar cause in una città in cui gli avvocati e gli uscieri non esistevano che per memoria, non aveva mai perduto alcun processo; quanto al medico era un pratico onorabile, il quale, ad esempio dei suoi confratelli, guariva tutti gli infermi da tutte le malattie, eccetto da quella per cui morivano; spiacevole abitudine presa disgraziatamente da tutti i membri di tutte le facoltà mediche di qualsiasi paese.

Arrivando alla porta di Audenarde, il consigliere ed il borgomastro fecero prudentemente una giravolta per non passare nel raggio di caduta della torre, poi la guardarono attentamente.

«Io credo che cadrà, disse van Tricasse.

— Lo credo anch’io, rispose Niklausse.