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110 un dramma in aria.


Il barometro era sceso a ventisei pollici. Eravamo circa seicento metri d’altezza sopra la città; ma nulla tradiva il movimento orizzontale del pallone, perchè la massa d’aria in cui è chiuso cammina con esso. Una specie di calore torbido bagnava gli oggetti schierati sotto i nostri piedi e dava ai loro contorni un’incertezza spiacevole.

Di nuovo esaminai il mio compagno. Era uomo sulla trentina, vestito con semplicità. La rigidità de’ suoi lineamenti indicava un’indomabile energia e pareva robustissimo. Tutto immerso nella meraviglia cagionatagli da quella ascensione silenziosa, se ne stava immobile cercando di discernere gli oggetti che si confondevano.

«Che bruma fastidiosa! diss’egli dopo alcuni istanti.

Non risposi.

«Siete adirato meco! soggiunse. Oibò! Io non potevo pagare il mio viaggio, bisognava pur che salissi di sorpresa.

— Nessuno vi prega di discendere, signore.

— Non sapete che simil cosa è accaduta ai conti di Laurencin e di Dampierre, quando si innalzarono a Lione il 15 gennaio 1784? Un giovane negoziante, chiamato Fontaine, diè la scalata alla galleria a rischio di far capovolgere l’aerostato. Egli fece il viaggio e nessuno ne morì.

— Quando saremo a terra ci spiegheremo, risposi, offeso dal tono leggero con cui mi parlava.

— Baie! Non pensiamo al ritorno.

— Credete voi dunque che io tarderò a discendere?

— Discendere! diss’egli con meraviglia... discendere! Cominciamo prima dal salire.

Ed innanzi ch’io potessi impedirlo, due sacchi erano stati buttati fuori della navicella.

«Signore! gridai incollerito.

— Conosco la vostra abilità, rispose con sussiego l’incognito; le vostre belle ascensioni hanno fatto rumore, ma sa l’esperienza è sorella della pratica, essa è pure un po’ parente della teorica, ed io ho fatto lunghi studi sull’arte aerostatica.

Ciò mi ha dato al cervello! aggiunse tristamente, cadendo in una muta contemplazione.