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capitolo i. 109

altri sacchi di sabbia e salii nella navicella. I dodici uomini che trattenevano l’aerostato con dodici corde fisse al circolo equatoriale, le lasciarono scorrere alquanto fra le dita ed il pallone si sollevò alcuni piedi da terra. Non vi era soffio di vento, e l’atmosfera, greve come piombo, pareva insuperabile.

«Tutto è pronto? gridai.

Gli uomini si prepararono. Un’ultima occhiata m’apprese che io poteva partire.

«Attenzione!

Avvenne un po’ di movimento nella folla, che mi parve invadesse il ricinto riservato.

«Lasciate andare.

Il pallone si elevò lentamente, ma io provai una commozione che mi rovesciò in fondo alla navicella.

Risollevandomi mi trovai faccia faccia con un viaggiatore impreveduto, il giovinotto pallido.

«Signore, vi saluto, mi disse egli con gran flemma.

— Con qual diritto?...

— Sono qui?... col diritto che mi dà l’impossibilità in cui siete di rimandarmi.

Io era sbalordito; quel sussiego mi metteva in imbarazzo e non avevo nulla a rispondere. Guardai l’intruso, ma egli non badava punto al mio stupore.

«Il mio peso turba il vostro equilibrio, signore? diss’egli.

E senza aspettare l’assenso, alleggerì il pallone di due sacchi di sabbia, che buttò nello spazio.

«Signore, dissi io allora, pigliando il solo partito possibile, voi siete venuto, sta bene... ma a me soltanto spetta la condotta dell’aerostato.

— Signore, rispose egli, la vostra urbanità, tutta francese, è del mio medesimo paese. Vi stringo moralmente la mano che mi negate. Pigliate le vostre precauzioni ed agite come vi par meglio. Aspetterò che abbiate terminato.

— Per?....

— Per discorrere con voi.