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calda, e gli diede i suoi calzoni quasi nuovi, che lo coprivano meglio. Ma Ranocchio tossiva sempre, e alcune volte sembrava soffocasse; la sera poi non c’era modo di vincere il ribrezzo della febbre, nè con sacchi, nè coprendolo di paglia, nè mettendolo dinanzi alla fiammata. Malpelo se ne stava zitto ed immobile, chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei suoi occhiacci spalancati, quasi volesse fargli il ritratto, e allorchè lo udiva gemere sottovoce, e gli vedeva il viso trafelato e l’occhio spento, preciso come quello dell’asino grigio allorchè ansava rifinito sotto il carico nel salire la viottola, egli borbottava:

È meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu crepi!

E il padrone diceva che Malpelo era capace di schiacciargli il capo, a quel ragazzo, e bisognava sorvegliarlo.

Finalmente un lunedì Ranocchio non venne più alla cava, e il padrone se ne lavò le mani, perchè allo stato in cui era ridotto oramai era più di im-