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perciò la conveniva confessar con suo gran ramarico che in detto negozio la non aveva potuto adoperar quell’autoritá, in servizio della Serenitá Vostra, che Dio le ha data col granduca, si come ardentemente desiderava: con tutto ciò che non era mai mancata di far tutti li offici che aveva potuti, or con ra- gioni ed or con preghi, ed alcuna volta anco con parole vive. Delli quali offici ne ho avuti sempre diversi incontri da molti gentilomini e ministri del granduca, che si erano trovati pre- senti, li quali mi dicevano ch’io avevo appressò il granduca un valoroso e potentissimo avocato. Or, vedendo essa grandu- chessa, che io era per partire e che non c’era piú speranza di ottener quanto si desiderava, mi disse aver di novo tentato se poteva redur il granduca a contentarsi che, in loco de diman- dar le sopradette robbe in dono, si potesse trovar qualche altra cortese parola, che piacesse alla Serenitá Vostra ed all’Altezza Sua, e che, per diligenzia che aveva usata, non aveva potuto cavar altro se non che, quando Vostra Serenitá le facesse dir che, in compiacenzia sua, la volesse farle un presente di dette robbe, si contenterebbe di darle, altramente no. E, se ben io dissi alla granduchessa che non vedevo alcuna differenzia dalla prima forma a questa, nondimeno essa mi fece instanzia che la rappresentassi, come faccio reverentemente a Vostra Sere- nitá, accioché da lei la potesse esser messa in quella conside- razione che le paresse. E poi Sua Altezza continuò:—Siate certo, secretarlo, che ho fatto e faccio quanto che posso, ma non posso piú. Dite, di grazia, a Sua Serenitá che io sono moglie e non marito; e che, se fossi marito, le prometto che, facendo far a modo mio la mia moglie, darei a lei tutta quella maggior satisfazione che la potesse desiderare. — E, essendo poi entrata a ragionar della mia persona, piú secondo la sua umanitá che secondo il mio poco merito, mi disse infine che, in questo mio ritorno alla patria, mi pregava con ogni mag- gior affetto che dovessi in suo nome supplicar umilissimamente la Serenitá Vostra a voler accettar in bene questa assoluzione del granduca circa le predette robbe, causata, non veramente da mala volontá, ma da quella gelosia della sua reputazione,