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della guerra e che spendevamo poco, perché le genti d’arme le tenevamo anco in tempo di pace, e 25 in 30.000 ducati al mese, che spendevamo in 7 over 8000 fanti, ne era di poco interesse; ma che volevamo che la guerra perseverasse, sapendo molto bene che francesi né spagnuoli non possano durar in Italia; e, avendo in questo mezo ’l papa e loro fiorentini speso quanto hanno, noi restassimo poi signori d’Italia: cosa che alcuno di questo Stato, Prencipe serenissimo, non si ha mai pensato né imaginato. Poi, quando la Serenitá Vostra tolse Ravenna ed il castello, essendo andato il mio secretario al confaloniero per certo negozio che occorreva, detto confaloniero se dolse col secretario che per li nostri fusse stato amazzato un suo cittadino nella ròcca di Ravenna, del quale s’averia potuto disponere a benefizio della liga; e, avendoli risposto il secretario che era suspetto e che per conietture pareva che detto castellano volesse dare il castello alli cesarei e che quello avean fatto le Signorie Vostre l’aveano fatto per beneficio della liga, gli rispose il confaloniero : — Ben, se avete tolto Ravenna per conto della liga, ne piace; se anche fusse altrimenti, ne dispiaceria summamente. — Le Vostre Signorie se deono ricordare per le mie littere con quanta difficultá mi detteno grani e vittuaglie per l’armata e per far biscotti, che non mi volsero accommodare di un suo bregantino per mandar all’armata di quelle verso Sicilia overo in le acque de Napoli, escusandosi che non ne avevano altro, come revera non avevano. Poi non hanno avuto quel rispetto alla liga che dovevano. Hanno dato il transito agli agenti cesarei, che andavano con Iuliano Lessio, noncio del pontefice, per far consegnar Parma e Piacenza alli cesarei, nonostante ogni instanzia per me in contrario fattale. Diedero anco il transito pel suo Stato al banderaro del principe d’Orange. E per questi e molti altri argumenti credo si possa comprendere fiorentini non esser di troppo buon animo verso questo eccellentissimo Stato e che siano in gran timor e gelosia di noi. E, perché due cose sono, come dice Aristotele, che sono causa di amare ed aver cura di qualche persona, che sono