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cospetto di ciascuno un visibile segno ed un vivo testimonio che dell’opera e servizio nostro, come presente, cosí passato, la Sereniti! Vostra e 1 ’Eccellenze V’ostre restino sodisfatte; ma per poter servire ancora, per quello che tocca a me, Antonio, in particolare (lo dirò liberamente), quando se ne possa cavare il valsente, o alcuna commoditá o qualche pur sollievo delle spese giá fatte da me. Massimamente clic, essendo io tornato con molto carico da Costantinopoli e poi da Roma, potrò dire di non restare del tutto privo in tre carichi, avuti senza intermissione l’uno dopo l’altro, di vedere in qualche atto la benignitá della Serenitá Vostra : la quale averta usato meco dell’istessa liberalitá, che ha fatto altre volte, queste due ancora, se da quei due prencipi, e di Costantinopoli e di Roma, fosse in costume donare gli ambasciatori, essendomi avenuto per soprasomma servir in tempo della maggior carestia e con la maggior occasione d’aiutare e sovenire schiavi di tutte le sorti che sia stata giá mai. In tanto che, è pur vero, trovomi non pure aver speso, li sei anni serviti in quelli due carichi, tutta l’entrata mia (perché mia moglie, per non gravarmi, è stata contenta di una pieciola camera in casa di sua sorella, moglie del clarissimo Tomá Lioni, con che ho potuto impiegare ogni cosa), ma adoperato il credito degli amici per supplire alla necessitá delle spese ed alla miseria di molti schiavi liberati, o con prestanze non mai pagate o con elemosina, dalle mani de’ turchi. Le quali cose, si come sono palesi a molti, cosí ho stimato io, Tiepolo, non esser stato sconveniente l’esporle in questa occasione alla Serenitá Vostra, poiché il dirlo a tempo che può il prencipe esercitare la sua clemenza, si come è segno di desiderio di ricevere suffragio, cosí è segno d’umiltá e di divozione. FINE DELLA PARTE PRIMA.