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SUL TESTO I)EL POEMA DI DANTE. 383

compilarono storie che meritavano d’ essere tradotte da Cor- nelio Nepote, cosi nominato perchè era nepote di Sallustio, lo storico; e Pindaro parimenti aveva tradotto V Iliade in latino;

— cose mirabili, anzi già fatte nuovissime a noi, come che fos- sero le benvenute a que’ ^ecchi che le avevano udite da Guido delle Colonne; ’ e a’ quali erano da lasciarsi. Ma da che pure il Lombardi se ne giovò, non erano da tralasciarsi scnz’ alcun avvertimento a’ lettori da’ nuovi illustratori dottissimi delle sue chiose. La Tsidobeatina gli era sorgente ricca, non sempre limpida, di emendazioni; e fu corrivo ad usarne. A m.e pare edizione ottima in questo, che la sua molta dissomiglianza dalle altre mi accerta più sempre che gli esemplari primitivi essendo stati ricopiati sopra un autografo pieno di varianti, riuscivano diversi secondo il diverso giudizio de’ primi che lo compilavano per pubblicarlo. Le ristami e procacciate da nuovi filologi stanno, quale all’Accademia, e quale al Lombardi; non però tanto ch’essi non le raffrontino a’ loro codici. Se non che è da temere non la fretta e la gara si partoriscano la confu- sione dell’abbondanza: e s’altri aspira al merito d’accumu- lare la mèsse delle varie lezioni, troverà chi può superarlo; e non sì tosto il numero sarà innumerabile, allora diverrà inu- tilissimo.

CCIX. Ma quale si fosse il tenore della lingua e della ver- seggiatura di Dante, non è da trovarlo in codice veruno; e in ciò la Volgata con la dottrina e la pratica deirAccademia pre- domina sempre. in qualunque edizione ed emendazione. Avve- dendosi « che per difetto comune di quell’età » — e chi mai non se ne avvedrebbe quand’ è più o meno difetto delle altre?

— « l’ortografia era dura, manchevole, soverchia, confusa, va- » ria, incostante, e finalmente senza molta ragione : ’^ » — anzi vedendola migliore di poco nel miracoloso fra’ testi del Decamerone ricopiato dal Mannelli ’, — parve agli Accademici di recare tutte le regole in una, ed è : — « che la scrittura » segua la pronunzia, e che da essa non s’ allontani un mi- » nimo che *. » Guardando ora agli avanzi della Volgata Ome- rica di Aristarco, parrebbe che gli Accademici de’ Tolomei fos- sero di poco più savj, o meno boriosi de’ nostri. La Prosodia d’Omero, per l’amore di tutte le lingue primitive alla melodia, gode di protrarre le modulazioni delle vocali. L’orecchio Ate- niese, come avviene ne’ progressi d’ ogni poesia , faceva più conto dell’ armonia, e la congegnava nelle articolazioni delle consonanti; e tanto era il fastidio delle troppe modulazioni, chiamate iati dagl’ intendenti , che ne vennero intarsiate fi-a


4 F;ibrizio, Bibliotheca Graeca, voi. I, pag. 27; — Biblioteca de’ Volgarizza- toìi, I, pag. 341. 2 Snlviati, Avvcrtimcììti, voi. 1, lib. Ili, cap. 4. ’A Discorao sul Testo del Decamerone. 4 Prefazione ;il Vocabolario, soz. Vi