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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI FANTE.

il regno poetico, parevano invenzioni ispirate dalla sapienza. Non che spogliarli de’ loro attributi e ridurli a suoni d’ idee astratte, arriccliivali di nuove sembianze e attitudini, sì che insieme simboleggiassero la sua metafìsica. E bench’ ei non avesse veduto la Fama rappresentata da’ Greci, or in volto di Demone della razza terribile de’ giganti; or messaggiera im- petuosa dal cielo ; or venerabile Deità ; ’ il suo Virgilio fuor dell’ usato s’ era sbizzarrito ad accumulare sovr’essa ogni fan- tasia mitologica; le attribuiva forme e grandezza e mosse e atteggiamenti d’altre divinità; - e le accattava locuzioni la- tine applicate ad altri soggetti: —

Commutare viam, retroque repulsa reverli Nunc ime, nunc illuc in cunctas denique parteis;...» Deniqiie quod lonqo venil impela sumere debet MoBiLiiATiiM etiam atque eiiam quae criìscit eundo.,,. Sponte sua voltat aeterno phrcita motu s.

Ma né il discorso di Beatrice ripetuto da Virgilio al Poeta dava occasione a descrizioni fantastiche; né Virgilio doveva esaltarsi con molta facondia da sé ; né a Dante giovava di violare le leggi : —

Parla, e sie breve ed arguto.... *

voi che avete gì’ intellelli sani, Mirate la dottrina che s’asconde.... »

Or ti riman, lettor, sovra il tuo banco:..,. Messo t’ho innanzi; ornai per te t: ciba «.

Condensando allusioni, immagini, e teorie filosofiche, quanto ei può, ne’ vocaboli, lascia eh’ altri, se può, le diradi. Alludeva alla poesia Virgiliana : immaginava il fantasma della Fama : e senza averlo udito nominare « angelo di Giove ne’ libri Ome- rici % » l’accompagnava all’idea del moto universale, quasi che, non dissimile dalla Fortuna, fosse una delle Intelligenze esecutrici delle vicissitudini preordinate da Dio su la terrai’.

ce. La Fama, e il lontanissimo progresso del suo corso rin- vigorito dalla continuità, sono le idee prominenti; e si stanno ne’ significati d’ estendersi per lunghissimo spazio , e di conti- miare a correre e di arrivare lontano, — che per esempj in- frequenti, ma pure antichissimi , spettano al verbo durare *.


1 Bacone, De sapienlia Velerum

2 Omero, Iliade, IV, 440U5.

3 Lucrezio, lib. II, 129, segg. ; VI, 340, segg.

4 Purgatorio, XIll, 78.

5 Inferno, XI, 61.

6 Paradiso, X, 22-25.

7 Iliade, II, 93-94; Odissea, ultmo. 412.

8 Qui dietro, sez. CLXXXV. . .

9 « E sì v’è larcivescovo di Milano , che dura il suo arcivescovado insino » al mare di Genova, e alla città di Savona e d’Arbigliana. » — « Questo (il


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