Pagina:Ultime lettere di Jacopo Ortis.djvu/315

SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 813

» glorioso che non ad altre il- titolo d’imperatrice*. » Anche Eloisa, come Francesca, lodasi bella da se. Tale è il carattere di Gismonda; anzi in lei la passione croca nobiliti un drudo plebeo’, — e nel cuore di Giulietta la timidità, l’ingenuità, e tutte le grazie verginali, non che intepidire, cospirano a in- fiammare in un subito V impeto e la magnanimità dell’ a- more ’.

CLIV. Non SI tosto la passione incomincia ad assumere l’onnipotenza del fato, ed opera come fosse la sola divinità della vita, ogni tinta d’impudicizia, d’infamia e di colpa di- leguasi. La umana pietà che nelle sciagure inevitabili è mista a terrore, s’ esalta per cuori creati a sentire sì fatalmente e a patire con forze più che mortali. In quest’ unica osservazione il genio de’ Greci trovò quasi tutti gli effetti magici della tra- gedia. Dante audacissimo, perchè sentivasi potentissimo fra i pittori della Natura, diede qualità eroiche all’amore di Fran- cesca, cosi che, bench’ella si vegga dannata, pare che si creda col suo misero amante non indegna del tutto di mandare pre- ghiere e lagrime a Dio. Uscendo dalla folla de’ peccatori carnali agitati dalla bufera infernale,

Quivi le strila, il compianto e il lamento, Beslemmian quivi la virtù divina ¦»,

Francesca, con un’esclamazione affettuosa di religiosa rasse- gnazione, di che non saprei trovare esempio in tutto V Inferno, dice al Poeta;

Se fosse amitio il Re dell’ univer>^o, Noi pregheremmo lui per la tu;i p:ice, Poi ch’hai pietà del nostro mal perverso.

Di questo non è chi faccia commento ; e beati i lettori se ogni qualvolta la poesia opera efficace da sé, noi critici tutti quanti ci stessimo in ozio. Non temerò di ridirlo troppo ; né illu- strerò questo Autore innanzi di mostrare come 1’ affaccendarsi a spiare il perchè nelle belle arti torna prova vanissima sempre e dannosa. Or qui Francesca non parla , né Paolo si


1 Abeilardi et Eloisae, cnnjngis ejas, Opera — pubhhr.nte a mezzo il secolo xvn, e I ni d d Diilot. — In tantum vero Ulne, quas pnriter exeraimm, amati- tiiim voluptates dalces mihi faerunt ut nec dispUcere miài, nec vix a memoria labi posS’int. Quae cum ingemiscere debeam de commism, suspiro potius de amissis. Nec solum quae egirnus. sed tura pariler et tempora in qnibus haec egi- miis ut in ipsis omnia iecum agere, nec dormiens eliam ab his quiescam. Pag. 59. — Denm tcslem invoco, si me Augnst is universo Pra’Sidens mnado malrimonH honore dignaretur. — charins et dignins mihi videretnr tua dici meretrix, quam illins imperntrix. P;ig. 45. — Etsi uxoris numen sanctius et validias videtury dulcius ìnihi semper extitit amicae vocabulum, aut, si non indigneris, conciU?ina4 vel scorti. lUhì. 45. — td. velus.

2 Boccaccio, Giorn. IV. nov. 1.

3 Shakspeare, la tragedia — Giulietta e Romeo, —

4 Inferno, V, 31-39.