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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DAKTE.

fatte riescono sempre le tradizioni di aneddoti che , pascendo la popolare malignità, sono facilmente ascoltati. L’esagerazione le seconda naturalmente; e le troppe acutezze nelJe induzioni le sogliono peggiorare, tanto che la loro ridicola assurdità co- stringe gli uomini a ributtarle. Fin qui alle circostanze sto- riche e congetture del Boccaccio n’ho aggiunte molte e diverse che menino per varj sentieri, se mai si potesse vedere più lume su lo stato dell’animo di Dante negli amori e negli odj dome- stici. Perchè quant’ei voleva occultarli , tanto più li sentiva ardentissimi; e riscaldavano il suo Poema; e adii non li vede, moltissimi tocchi, simili a quei della scena con Forese Donati, sembrano freddi e comuni.

XCVIII. Per me, credo che la tenera età de’ figliuoli (e l’ul- timogenito poteva appena essere fuori delle fysce) strinse la donna a rimanersi in Firenze; e che poi la fortuna imponendo ni marito di correre profugo, lo sconfortasse per parecchi anni dali’aggiungere tanta famiglia a’ disagi del suo misero esilio. Bino acquando vivesse la madre; quanto il marito le soprav- visse ; e s’ei raccolse i figliuoli prima o dopo ch’ella mori ; sono particolarità delle quali ninno, che io trovi, ha mai scritto ri- cordo. Bensì tornando agli storici e a’ suoi commentatori che viaggiano col Poeta per tutta Italia sino al termine della sua vita, non considerarono ciò che avvenisse de’ suoi figliuoli; e s’egli avendoli intorno avrebbe potuto andar sempre pellegri- nando. Certo è, che malgrado la i)overtà del padre crebbero lettei-ati , e non potevano conseguire l’educazione se non da lui; — che l’uno d’essi s’accasò poscia in Verona, mori in Treviso \ e la schiatta degli Alighieri fu spiantata per sempre dalla To- scana; ’•’ — che la figliuola di Dante in\ occhiò in un monastero in Ravenna; ^ — ciie stando anche alla data più antica delie sue nozze, il maggiore de’ maschj poteva toccare vent’anni a cìir molto, allorquando la morte, non aspettata, di Arrigo VII scemò nel 1313 le speranze di Dante, e lo indusse a procac- ciarsi domicilio più riposato. Queste considerazioni restituiscono 1’ autorità troppo spesso impugnata agli scrittoli Fiorentini più antichi, che consentono tutti a vedere il poeta per parecchi anni alla corte di Guido in Ravenna*, — e allora n’aveva quaran- t’otto d’età — in quell’età per l’appunto ch’ei dice d’avere in- trapreso a comporre il Conmio ; ^ e scrive in via di proemio : — « Ahi piaciuto fosse al Dispensatore dell’universo, che la ca- » gione della mia scusa mai non fosse stata : che nò altri contro t> a me avria fallato, né io sofferto avrei pena ingiustamente;


J Vedi il suo epitaffio pubblicato in più libri.

2 Leonardo Aretino, Mia di Danti, verso la fine.

3 h\ un documento riferito dal Pelli e dal Manni, e qui dietro, sez. XXVIII, ag. 133, nota 2. . «,

4 Vedili citati per ordine d anni, qui ^e|ro, s©*^ X.L

5 Convilo, pag. 67. 260.


DISCORSO