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12 Il sacrificio dì Ieronima


— «Senza fallo domani?.. Prometti?»

— «Te lo prometto...»

— «Sta bene.»

E dopo aver baciato ad uno ad uno i bimbi dormenti e salutata la cognata più che stanca, esausta dalle fatiche del lungo giorno trascorso, Ieronima, colla scorta di Giordano, s’avviò verso la sua casa.

Non v’era più nessuno adesso nel deserto quartierino, nemmeno la domestica ch’ella aveva licenziata per. prendere una donna che veniva soltanto alla mattina; ma la casa essendo tutta abitata da onesta gente, la fanciulla viveva ancora lì, sola fra le sue ricordanze.

Una grande proprietà e una certa eleganza gentile regnava nelle tre modeste stanzette, perché Ieronima amava di appagare il suo gusto semplice ma squisito, coll’armonia delle linee e delle tinte, con un’abbondanza di fiori spesso raccolti dalle sue mani, col sapiente collocamento degli oggetti.

La fanciulla accese una lampada, depose il paltoncino e il cappello dal lungo velo nero ed entrò nel salotto ove dominava, nel mezzo, un grande Pleyel a coda.

Sulle pareti null’altro che ritratti d’artisti celebri, parecchi dei quali firmati, qualche schizzo a penna o a carbone di buon autore e due o tre riproduzioni fotografiche di affreschi dell’antica scuola fiorentina; fra le finestre un gesso del San Giovannino di Donatello; pochi mobili semplici ma eleganti, due scansie cariche di libri e di opere musicali sceltissime completavano, con una pianta ornamentale, un’immensa corypha coltivata con cura amorosa, il modesto [....?] La fanciulla aveva mandato al camposanto tutti gli altri suoi vasi di gerani e di garofani.

Ella mise la piccola lampada sopra un tavolino, dietro a sé, e sedette inconsciamente al pianoforte. Da un mese, dopo la morte di suo padre, non aveva più suonato, ma il dolce istrumento l’attraeva adesso con un fascino irresistibile, colla stessa voluttà del dolore.

Le sue mani lunghette, affilate, nervose, vere mani di pianista, si posarono tremanti sulla tastiera, cercando degli accordi minori; un lungo brivido la fece fremere da capo a piedi, e chinandosi, tutta tremebonda, colla testa sul leggio, la fanciulla scoppiò in un singhiozzo disperato. Ma si riebbe, perché era una tempra forte e volonterosa, e le sue dita errarono nuovamente sui tasti bianchi. Ad un tratto le tornarono alla mente certi canti che il padre suo aveva prediletti, cose semplici e grandi dei tempi trascorsi; indi una foga di passione la morse nella fantasia che si esaltava; quieta alla prima, quasi abbattuta, poi a grado a grado. sempre più agitata e ardente, improvvisò con tutto il trasporto d’un’anima che gt