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del veltro allegorico di dante 69


punto alquanto avuto del guelfo, ai fiorentini uccisori di messer Corso sdegnoso il Faggiolano ruppe la guerra. In mezzo a tali rivolgimenti mori Carlo II di Napoli (maggio 5): Dante l’odiava giá da gran tempo e non si rimase giammai di trafiggerlo quale dappoco (Purg. XX, 79; Parad’. VI-XIX-XX). Lui vivo, l’Alighieri avea scritto metá del Convito, poiché lo ammonisce che seguisse meno stolti ed avari consigli. Succedé al monarca il figlio Roberto, piú avventuroso ed utile amico dei guelfi.

Deposto intanto a Parigi gli atri colori, coi quali avea si fieramente tratteggiato VInferno, l’Alighieri cominciò la melodia di quel soavissimo canto che si ascolta nel suo Purgatorio’, maraviglioso ingegno e sovrano in tutte le maniere di stile, in ogni genere di eloquenza, in ciascuna delle piú difficili scienze della sua etá. Date alquante lagrime al suo amico Casella (Purg. II, 191), egli scrisse i versi pel re Manfredi, nei quali è dubbio se l’ortodossa gravitá delle sentenze cattoliche accomodate ai bisogni della sua parte ghibellinesca vinca la tenerezza dei sentimenti e l’armonia ineffabile della poesia (Purg. III, 112). Deplorò indi l’acerbo ed immaturo fine di Buonconte da Monte Feltro, cui non piú il poeta nel tempo del proprio esilio avrebbe amato di avere un di combattuto (Purg. V, 88-129). Ed acceso di zelo a Parigi per la memoria di uno che gli parve innocente, gravò la madrigna di Filippo il bello, Maria di Brabante, che avesse tratto a non meritata morte Pier della Broccia, ministro giá di Filippo III l’ardito (Purg. VI, 19-24): le quali rimembranze degli affari di Francia, ripetute non di rado nel Purgatorio, sono monumento della sua dimora oltremonti. (VII-109, XI-Si, XX-52). Ma per Francia non dimenticava egli l’Italia; e col pensiero vi rivolgea volo siffatto che ogni dire vien meno: al paragone di tale poesia ogni altra scolorasi, né piú si giudica essere Ugolino e Francesca i luoghi piú belli del divino poema. Egli è questo il canto sesto del Purgatorio’, il canto del mantovano Sordello, e dei suoi abbracciamenti con Virgilio, e delle fervide brame di patria, e delle ironiche rampogne contro Firenze. Quivi, rigido mantenitore dell’unitá di tempo, favella il poeta del 1300, e di Alberto d’Austria che allor sedeva;