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52 carlo troya

Donati d’inviarle al marito, si com’ella fece, in Lunigiana. Spento poi l’Alighieri, l’ammirazione pubblica pel suo libro adornò di maraviglie il racconto di questo fatto; ed aggiunse che le carte, le quali potevano contenere altri versi di Dante, contenessero appunto i primi sette canti dell’Inferno dettati giá innanzi l’esilio; che Dante le ricevè in casa Malaspina quando erasi del tutto allontanato da ogni pensiero di continuare il poema: e che nuovamente postosi al lavoro per le preghiere del marchese Malaspina, cominciò di tratto l’ottavo canto con le parole «Io dico seguitando». Siffatta narrazione adulava certamente in Firenze la vanitá cittadina; e allo stesso modo, con cui tante cittá contesero per l’onore che ivi Dante avesse composto alcune parti della Commedia, così parve bello che egli ne avesse disteso a casa i primi canti, e piú bello che alcuno dei fiorentini avesse in certa maniera salvato intero il poema. Perocché, se il Frescobaldi non avesse tenuto in pregio e fatto, secondo la narrazione, pervenire in Lunigiana i primi sette canti, né il marchese avrebbe pregato il poeta di proseguire, né Dante avrebbe punto voluto. Alla gloria di questa, non so se io mi dica, ristorazione del poema piú avidamente che altri aspirò Dino Perini, amico dell’Alighieri, e da esso celebrato nell’egloghe sotto il nome di Melibeo (Eglog. I, verso 4): il quale, tolto di mezzo Leone Poggi, affermava dopo la morte di Dante che la donna ordinò a lui Perini di cercar nei forzieri, e ch’egli fu il trovator delle carte. Io lascio all’egregio uomo il conte Giovanni Marchetti la cura di mostrare le assurditá della novella di Lunigiana, o che nelle carte trovate fossero i primi sette canti quali oggi si leggono: e non suppongo si neghittoso il poeta nei cinque piú fervidi anni della sua vita e del suo esilio che siasi privato del conforto d’un poema, donde sperava fama, e col quale reso formidabile ai nemici, opponevasi ardito ai colpi della fortuna.

Che se non inganna la congettura, l’Alighieri appunto in Lunigiana dettò i nove canti dell’Inferno, dal decimottavo fino al vigesimosesto. La recentissima rivoluzione di Bologna ben dovea muovere le ire dell’esule ghibellino: e però in quei