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ch’egli cita (Savigny, Eichorn, Leo, Woigt, Praumer, Suden, ecc.) non sia per lui scomparsa ogni incertezza, e dice: «Io sono qui il piú capacitato delle sue ragioni, gli altri a cui, valendomi della sua licenza, ho mostrato le sue lettere, lo sono meno di me; ed ella n’ ha potuto aver una prova nell’articolo dello Sclopis inserito nell’ Antologia, lettomi da lui prima di mandarlo, e mandato a malgrado della mia protesta d’essere oramai piú della opinione di lei, che della mia stampatalo». E nella seguente lettera del 7 febbraio, quindi dopo la sesta del Troya: «E sia che la legge romana non fu altro mai che un sussidio (buonissima espressione) della longobarda. Ma chi mi prova che tal sussidio non fu usato mai prima di Rotari, mai tra Rotari e Liutprando, mai nei principi di Liutprando, prima della conquista delle provincie romane, e della promulgazione delle leggi 37 e 74? Chi mi prova che questo sussidio incominciasse ad usarsi pei gargangi, e per gli ecclesiastici, (questo, se ben intendo, è il sistema vostro) ed indi, s’estendesse ai longobardi, o non anzi che fin da principio, fin dalia conquista, fin dall’introduzione delle leggi non iscritte, cioè dagli usi longobardi, e contemporaneamente ad essi pur si usassero le leggi romane, quasi lateralmente, egualmente in tutto ciò che spettava ai romani cives o aldi, e sussidiariamente fin d’allora anche tra longobardi? E perché di questo cives ne volete voi fare un errore degli scribi, e noi prendereste voi anzi letteralmente come una pruova di romani non advenae, non ecclesiastici ma liberi e cittadini, come s’è inteso fin qui?»( 2 ). (1) Qui si riferisce il Balbo alla lettera del 15 novembre 1830 inviata dallo Sclopis al direttore déiV Antologia, intitolata: Intoino alle istituzioni longobardiche, ove faceva attcíie elogi al Balbo per l’interpretazione della voce «aldi». Sará superfluo ricordare che lo Sclopis della questione longobarda aveva trattato in una lezione tenuta l’S febbraio 1S2; a Torino riguardante particolarmente lo stabilirsi del popolo in Italia ed i suoi ortiini di governo; altre due lezioni sarebbero state da lui tenute s’egli non si fosse dedicato ad altri studi. (F. Sclopis, Ve’ longobardi in Italia, Torino, Starr.p. reale. iS 1-). (2) 11 Balbo nella Storia fi. II), dopo aver detto che i romani vinti, sotto Alboino, Clefi e i duchi, si trovarono in condizioni peggiori, per quanto la quantitá delle sostanze usurpate fosse la medesima che sotto Odoacre e Teodorico, per il modo molto peggiore con cui si procedette alle usurpazioni, e perché costretti a dare il terzo dei frutti anziché delle terre, si che nessuna proprietá e nessun uomo rimaneva libero, ritiene che colla restaurazione della monarchia i longobardi abbiati seguito l’esempio dei barbari predecessori, facendosi dare il terzo delle terre; e con ciò il Balbo mette in relazione il fatto, per cui «nel seguito delle storie e nelle leggi,