Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/364

Montefeltro, come il Repetti che lo ravvisò in Cornetob) ed il conte Litta che «trasportò la patria d’Ugo in una Faggiola, vicina di Castel d’Elci e del fiume Sonatello o Senatello»; a questi il Troya risponde con la citazione di diplomi di Ludovico il bavaro a favore di Uguccione e di suoi discendenti, fra i quali il piú importante per la tesi sua è quello del 15 febbraio 1329, dato in Pisa, in cui a Neri, figlio di Uguccione, ed a Paolozzo della Faggiola si conferma il possesso di terre e di castelli. «Il primo de’ molti castelli, onde si fa motto nel diploma del 1329 in favore de’ due cugini è quel di Faggiola in districai* et diocesi Montis/eretri\ fra’ quali confini sono annoverati eziandio Castel d’Elci ed il castello Sernatello, cioè Sonatello o Senatello». A quanti poi sostengono che il veltro fu Cangrande designandone la patria fra il Montefeltro e Feltre, dice fra altro il Troya, aggiungendo osservazioni tefice»; Benedetto XI, con bolla 7 aprile 1304 «assolvè Filippo il bello, assente e non chiedente d’essere assoluto, da ogni censura per gl’infami oltraggi recati a papa Bonifazio», e Filippo, secondo il p. Marchesi sarebbe la lupa del primo canto deU’/n/ifrwo. «Gagliardo veltro per veritá, se Filippo non avesse dovuto d’altri temere che di Benedetto XI!» 11 veltro avrebbe dovuto cacciar la lupa di cittá it» cittá. «Simile concetto conveniva meglio ad un capitano, ad un uomo di spada, il quale fosse andato allora penosamente guerreggiando in qua ed in lá, che non ad un pontefice massimo, la cui potestá universale suscitava idee d’un’operazione piú vasta e non ristretta in cosi brevi e municipali, sebbene svariati confini». E nel discorso «De’ due veltri di Dante Alighieri e de’ suoi affetti verso lo Scaligero», pubblicato nel 1655 risponde il Troya, piú difesamente che non avesse fatto nel Veltro allegorico di Dante agli interpretatori di «feltro» per «cielo», donde la identificazione del veltro in Gesú Cristo. «Scarsa lode» egli dice «per Gesú Cristo, è il dirlo fornito di sapienza, di virtú e d’amore; il dirlo dispregiatore della terra e del peltro; il dirlo infine cacciator della lupa di villa in villa. Gesú Cristo, signor nostro, non verrá mai a regnar di persona sulla terra: e’ verrá solo a giudicare i vivi ed i morti. Allora la lupa, considerata come un vizio, sará sommersa nell’inferno; allora Cristo risplenderá fra Feltro e Feltro, se Feltro significa il cielo. E però il concetto di Dante si ridurrebbe a dire, che il vizio dinotato dalla lupa finirá col inondo e con la razza umana. Grande scoperta e magnifica rivelazione di sconosciuta veritá! Ma com’ella s’accorderebbe con la speranza di salvar solamente l’umile Italia?... La lupa dunque, ovvero uno dei vizi umani, dovrebbe discendere in inferno e morir di doglia non prima delia fine del mondo? No, Dante non apri una cosi gran bocca per dir queste inezie, nel bel principio del suo poema. Quanto piú al Feltro e Feltro si vogliono attribuir qualitá ignote, stragrandi, soprannaturali, astratte, nebbiose, che alcuni credono essere le sole degne della contemplazione d’un Alighieri, tanto piú si dimagra e si rappiccinisce il concetto e si scolora la poesia, togliendo l’uomo vivo di mezzo e le forze dell’uomo vive per sostituirvi desideri e vaticini filosofici».

(1) Repetti, Dizionario geografico toscano, sotto le voci Corneto, Vergareto, et passim.