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procedono punto da fatti a me ignoti, ed anzi raggiransi sui fatti da me narrati, ai quali io avevo contrapposto l’altro fatto piú grave, non solo della dedica d z\VInferno a Uguccione raccontata dal Boccaccio, ma della ragione di questa dedica, ragione contenuta nella lettera di frate Ilario, cioè l’aver Dante dichiarato, a lui frate Ilario, che molti aveva esaminati dei piú grandi italiani, per isceglierne tre, ai quali dedicar le sue cantiche, e che, dopo lunga ricerca, tre soli gli parvero degni di ciò: Federigo di Sicilia, Moroello Malaspina ed Uguccione. Cessano dunque tutti i peccati commessi da Uguccione fino al giorno della lettera ilariana; di quelli, che avrebbe commessi dopo, Dante non aveva la previdenza: cessano perché, se parvero peccati a qualche storico per gli amori di parte, a Dante non parvero tali per gli amori della parte contraria. E però la vera disputa è intorno all’autenticitá, contro la quale non dice neanche una sillaba il Tommaseo, della lettera ilariana. Ora di questa disputa mi rido assai: e quel codice ove si legge la lettera di frate Ilario ha somministrato alla storia non pochi documenti, importantissimi e verissimi, fra i quali si vogliono riportare le due lettere, da me scoperte di Dante stesso; e il vostro Ciampi ha trovato dopo di me che quel codice appartenne al Boccaccio e che vi è la sua firma. E qui basti del veltro.

Ho ricevuta la risposta di Sclopis ed una carissima letterina di Balbo, il quale mi chiede perdono e mi racconta una serie di guai della famiglia, e massimamente di lunghissime malattie della moglie, che gli ha partorita una bambina; ed ecco giá sette figli. Mi prega di scrivergli e dice che questo gli è gran conforto; ma non può promettermi di risponder subito: e non somiglia male a Marchetti, cui ho scritto per mezzo di Recchi. Ho ringraziato Sclopis, nell’articolo sulle leggi della Cava, per le varianti, che m’inviò, delle leggi del codice vercellese: parlerò di Balbo, ed allora gli risponderò, inviandogli una copia dell’articolo, come ne manderò una a voi, un’altra a Condoli ed una terza a Bonelli. Gabriele mio mi scrive cose amorosissime da Firenze: quello è l’uomo. Che posso dire