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dizione politica. E però voglio augurarmi che in Romagna sapranno contentarsi di un bene qualunque possibile, senza correr dietro ad un meglio ideale. Addio, addio; mi dispiace che parta vostra sorella: riveritela in nome mio. Abbracciate don Giovanni.

... Al rimanente della vostra lettera io risponderò con un’altra. Addio di nuovo e con tutta la piú viva amicizia (I ). Posillipo, 15 settembre 1831.

(1) Nelle lettere (11) del 27 settembre 1831, e (12) del novembre seguente il T. torna a lodare E. Fabbri per la condotta da lui tenuta a Cesena a cui ha saputo mantenere la tranquillitá. Dice, fra altro nella prima: «Dopo la caduta di Varsavia, spero che la Romagna vorrá quietarsi e sopportare in pace i mali non separabili dalla natura umana, senza piú correr dietro a speranze chimeriche ed a beni affatto immaginari. Giá vedete il bel frutto che ne ha raccolto la Polonia, non ostante il valor militare 1 Dunque? Dunque stiano zitti e quieti e cerchino colle buone maniere di migliorare la loro condizione.» E nella seconda: «Colui, che fu iniquamente trattato da Rivaiola, si fa istrumento di concordia e di pace. Ma guai a lui se vuol sentire i liberaleschi: sará scomunicato anch’egli e chiamato uomo feudale... Vi ringrazio delle notizie che mi date intorno alla Romagna rinsavita: spero che voglia rinsavir Bologna e che quivi anche si troverá un Eduardo, per servirmi della frase di Gregorio XVI al senator Mellaral». Nella lettera (13) dell’11 novembre 1831 dalla badia della SS. Trinitá della Cava esalta la ricchezza dell’archivio della badia, e parla delle leggi di Rachi e di Astolfo, sulle quali si fermerá piú a lungo nella corrispondenza col Balbo.