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che avrei chiamato Storie toscane. Se a voi sembra che questo titolo, come a me sembra, non sia lo stesso che l’altro di Storia d’Italia, non avrei riparo di farne uso: le storie italiane possono ben essere quelle d’alcune contrade d’Italia, e non di tutta l’Italia. Se venite in Napoli, parleremo insieme di queste cose: altrimenti, e sia vano il timore, altrimenti, verso il mese di giugno, potrò depositare nelle mani della mia amica il primo volume. Ora ho chiuso i libri, e non sono piú che nello scrivere: voi non sarete certamente per biasimare il ritardo.

Addio, mia buona amica: io vi ho forse annoiata, ma nella triste solitudine in cui mi vivo, lungi da’ miei migliori amici e da quanto è piú caro all’anima mia, ho voluto fare un poco di conversazione con voi; e son tornato col pensiero a’ miei giorni bellissimi, quando mi era dato di favellare a mio bell’agio con voi. A don Giovanni vi piaccia di recare i miei complimenti ed i miei saluti affettuosi. Deh venga egli con voi! Addio di nuovo; fatemi avere subito le vostre notizie, perché nello stato in cui siete non voglio che mi scriviate. Al conte Eduardo le mille e piú amichevoli cose in mio nome: non v’incresca di dire a Liberatore le notizie della vostra fanciulla. Io sono e sarò sempre quale mi conoscete, pieno della stima piú vera e del piú amichevole attaccamento. Di Napoli, 25 febbraio 1827.