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VI

Mia pregiatissima amica, Nell’atto ch’io metteva la mano a scrivervi, ecco l’amabilissima vostra del 29 viene a recarmi novelle prove della vostra amicizia. Il piacere di don Giovanni sará fatto: io mi confido fra pochi giorni di dargli buon conto del personaggio a lui noto, e senza che uomo del mondo avesse a dover sapere donde muove l’inchiesta. Ed or si che so mille gradi a don Giovanni, e gliene saprò assai piú s’ei mi tratterá da amico, dicendomi liberamente quello di che in Napoli potesse fargli bisogno. Non penso cosi di voi, e biasimo a viso aperto quei vostri complimenti tanti e le soverchie vostre riserve... «Non volersi darmi fastidio, non interrompere la mia solitudine», con altrettali parole, che ormai vi perdono, se siano dette per l’ultima volta. Infine dovete conoscermi ed esser chiarita da me. Ma succedano al rimprovero i miei piú vivi rendimenti di grazie per tutto il rimanente della vostra lettera. Simpaticissima lettera! Voi vi fate vincere dalle mie preghiere: voi vi ponete ad un lavoro che sia tutto vostro: voi volete che io vi scrivessi a dilungo intorno alla scelta del vostro argomento. Che posso io dirvi? Ieri sera tormentando me stesso, invidiava la felicitá degli sciocchi: e son pur essi beati! Non conoscono, e però non bramano: il pendolo della loro vita batte sempre uniforme: nella selva di questa vita, s’incontrano e s’intendono cotanto bene fra essi! Non avviene cosi a coloro, cui la natura fece altri doni che della tutelare sciocchezza: la prigione e l’esilio sará sovente il loro compenso; e pur questo è piccolo danno se vorrá paragonarsi a tante angosce dell’animo, alla speranza del bene sempre delusa, e, innanzi tutto, a quel cercarsi che fanno, senza trovarsi, due persone dell’indole istessa. — Che vaneggiamento è questo? — voi dite.