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può volere e non volere in Napoli? Bel modo veramente ad onorare, quasi non fossero italiane le nostre armi! Un vile comando, che i nostri si rincantuccino e partano! Ma no: dovranno prima i messinesi ed i siracusani aprir la breccia, secondo le leggi della schietta guerra: niuno gli offende, né offender li vuole; sono essi gli assalitori, e tutto il sangue che ora si sparge, deve ricadere su loro. Né potrebbero fare stima di noi, se sotto il pretesto che siam fratelli, potessimo consentire a disonorarci. Fratelli, si; ma per Dio non ci assalite, perocché ci difenderemo: i soldati, or si degni dei generali Pronio e Palma, mal potrebbero, se disonorati, condursi a combattere contro lo straniero in sul Po.

Ruggiero Settimo che perorava per quelli del 1813, non può desiderare che gli altri del 1848, sebbene abbiano sembiante di suoi nemici, si disonorino. Questi certamente non sono e non saranno i sensi di Ruggiero Settimo e de’ suoi colleglli, ma fiero dubbio invade le menti, non siano per avventura essi premuti dalle fazioni de’ «bunachi»; genti riottose, per quanto si narra, le quali ora distendono in Palermo una grande ala, minacciando la libertá e la pace dell’isola, e non consentono che il nostro re si chiami re del regno della Sicilia di qua e di lá dal Faro, come appellavasi Federico III nel capitolo del 1296. Altro re fu l’aragonese Federico III; e secondo il Boccaccio ebbe grande amicizia con Dante Alighieri. Ma cosi nel Purgatorio e nel Paradiso, come nel Convito e nell’ Eloquio Volgare, Dante non favellò se non dell ’ «avarizia» e della «viltá» di Federico: i quali odii, credo, generaronsi nell’animo del poeta, quando egli vide, che il re abbandonava i pisani alla morte di Arrigo VII, ponendo in obblio gl’interessi e la causa de’ ghibellini d’Italia. — Fate, o carissimi fratelli, come potete — disse loro Federico—; io torno in Sicilia —. (agiti:, fratres carissimi, sicut qualitas tcmporis innuit). E ne avea buone ragioni; ma buone sol per Sicilia, non pe’ confederati del 1313. Lo stesso avviene oggi dopo cinque secoli e piú; i siciliani, col nome di nostri fratelli, pensano solo alla loro causa, e non a quella d’Italia; ciò che cercherò di metter in miglior luce, continuando la presente scrittura.