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libertá municipale, ristretta in quelli che si chiamavano i seggi o sedili di Napoli. Or chi può dire, quanto la bella Palermo a me paresse di piú che non la mia bellissima Napoli! Con quanta letizia del mio cuore io salutassi la Sicilia nei miei piú fervidi anni! Ma poco appresso io la lasciava, sperando rivedere, come segui dopo molte sventure, il caro venerato maestro che mi strinse al suo petto; e rividi anche lo Sciná ed il Gregorio in Napoli, ma il mio Niccolò Palmieri non doveva piú venirmi dinnanzi agli occhi sulla terra.

Tale io caldo di siciliani affetti, mi dipartiva di Palermo nel 1802, tenendola, come mai sempre la terrò, come mia seconda patria.

Vennero poscia i secondi rivolgimenti di Napoli: da capo il re si riparò in Sicilia nel 1806, e fra noi piantossi lo straniero co’ suoi modi particolari, de’ quali non parlo. Ma non tacerò al tutto delle leggi che ci divisero dalla Sicilia, ponendo la pena del capo a chi ricevesse una qualche lettera dalla moglie e dal marito, se colá dimorassero: e però ci dettero in balia de’ tribunali di maestá, detti straordinari, ove frammisti a giúdici senza pietá sedeano feroci soldati, dall’un de’ quali vidi ed udii recarsi grave oltraggio in uno di quei pretesi giudizi alla canizie di Domenico Cotugno. Cosi noi fummo per lungo tempo segregati dalla Sicilia, ed appena un’eco incerta e lontana ci narrò che nel 1812 erasi scritta una costituzione pressoché inglese nell’isola; udimmo poscia nel 1816 decretarsi nuove foggie di governo per essa, e finalmente nel 1820 vedemmo giungere in Napoli deputati della Sicilia, i quali giurarono la costituzione di Spagna ed affermarono che il maggior numero di siciliani avevano commesso loro di giurarla, mentre Palermo si levava per rimettere in onore la costituzione del 1812, Di tali cose or ora toccherò; qui basti far cenno alla gioia che mi ebbi, ei non ha guari, leggendo il Saggio Storico del mio amico Palmieri, pubblicato dopo la sua morte dall’egregio scrittore de’ Vespri, cioè che vi premise un aureo discorso, frutto di lungo studio e di vero amor patrio. Giá l’Italia nell’atto di stamparsi un tal libro risorgeva, e giá Pio IX l’avea