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e di ariano ch’egli era: ma se io sapessi pur dipingerlo, farei forse male a volerlo tentare?

Da un’altra parte, quando alcuno abbia studiato bene un argomento, quanti volumi di trattati e di discussioni varie non si trasportano in uno di questi discorsi? Ma vogliono essere i grandi avvenimenti quelli ai quali abbiasi a concedere il privilegio e l’onore di siffatti discorsi: e nelle battaglie si può assolutamente farne senza. Ella, mio caro conte, invece dei discorsi storici mette le traduzioni di qualche documento importante che ci rimanga: non mi spiace il pensiero, ma vorrei almeno che o la traduzione fosse parafrasi, o che Io stile della narrazione fosse diverso da quello del documento in tutte le cose le quali non sono tecniche per cosi dire. Le ho detto francamente il parer mio, ma non pretendo che sia il migliore. Or non debbo che rinnovare le mie preghiere perché non mai piú ella debba essere tentata di levar la mano dal suo lavoro. Arduo invero e lunghissimo! È vero, ma qui è la gloria: ed ella certamente vi giungerá. In quanto ad alcune mutazioni, che ella potrá credere necessarie, mi sembrano assai piccole cose quelle che vorrá forse cambiare: poiché giovami ripetere, che la quistione dei «romani barbari» si fará sentire piú efficacemente nei suoi effetti, o, se vogliamo dirla, nei secoli IX e X ed oltre.

Terminerò questa lettera con alcune brevi osservazioni sulla legge 37 di Liutprando. Il dirsi quivi lex Romanorum invece di lex Romana non sará cagione, io spero, che nella parola Romanorum ella vegga i cittadini o gli ingenui romani sudditi di Liutprando! ma potrá bene vedere i romani veri di Roma e di Ravenna come coloro che possedevano una legge, dalla quale il longobardo traeva e dovea necessariamente ritrarre le tante cose divenute necessarie alla sua nuova civiltá cattolica, e non prevedute dall’editto dell’arianissimo ed intollerantissimo Rotari. E però io torno a dirle che nel 715 Liutprando re longobardo giudicando fra due vescovi, che possiamo supporre longobardi, sentenziava prima della sua legge del i° marzo 727, sentenziava, io dico, secundum legem Romanorum: e tutti gli